martedì 22 luglio 2008

PERCHE’ AIX E’ UN FESTIVAL DIFFERENTE DAGLI ALTRI

Premessa Aix-en-Provence (150.000 abitanti), un centro storico sei-settecentesco rimasto intatto, pieno di stradine, vicoli, piazze, eleganti fontane e splendidi palazzi dove tutto sembra fatto apposta per eseguire musica. Da 60 anni è la sede del Festival d’Art Lyrique, nato quasi per caso nel 1948 per far conoscere ai francesi quel Wolfang Amadeus Mozart che in Francia non si rappresentava da decenni. In un palcoscenico costruito alla buona nel magnifico Cortile dell’Arcivescovato, venne proposto “Così fan tutte”, che Oltralpe non si metteva in scena del 1926. Già allora, però, c’era un tocco politico: era stata invitata un’orchestra tedesca con un direttore austriaco (a tre anni dalla fine della guerra mondiale). Per l’occasione, si diedero convegno in quella che era stata la capitale del Regno di Provenza, politici, industriali e finanzieri di mezza Europa. Nessuno pensava che l’iniziativa avrebbe avuto un futuro. Anche perché i finanziamenti pubblici erano modesti. In effetti, in sei decenni, l’iniziativa è stata un paio di volte ai limiti del fallimento.
Questa edizione 2008 sfoggia, sei opere, 17 concerti , 3 mostre , due conferenze internazionali (una su temi politici- la schiavitù nel XXI secolo- ed una su argomenti economici- le imprese e l’integrazione economica) nell’arco di un mese. I teatri in funzione sono quattro: due all’aperto (il Cortile dell’Arcivescovato, ora dotato di un palcoscenico modernissimo, e, quello del Palazzo Maynier d’Oppède di fronte alla Cattedrale) e due al chiuso (il delizioso Jeu de Pommes costruito all’inizio del Novecento e restaurato una diecina di anni fa ed Grand Théâtre de Provence.la cui ardita architettura italiana è stata inaugurata l’anno scorso). Se ne può aggiungere un quinto, spesso in funzione nel recente passato: il Grand Saint Jean, un palcoscenico a ridosso delle mura di un maniero immerso nella campagna provenzale. Inoltre, in una delle piazze più vaste della città, gli spettacoli vengo trasmessi in differita (di circa un’ora e mezzo) gratuitamente , mentre un sito web (www.medici.tv) li propone in diretta; la “prima” (la rara “Zaide” di Mozart) è stata seguita da 100.000 spettatori in 108 Paesi. Se si tiene conto anche delle attività dell’Académie Européene de Musique (una fondazione per le giovani voci europee in funzione da poco più di un decennio), la durata complessiva del festival di teatro in musica è due mesi in cui sono presenti a Aix 800 artisti di 41 Paesi. Accanto al festival lirico, si svolge un festival di musica barocca provenzale ed uno di operette francesi, nonché spettacoli “off” e “back” di cabaret e prosa in vari luoghi. Appena cala il sipario sulla lirica (e sul barocco e l’operetta) iniziano festival (meno noti su piano internazionale) di danza e di jazz.
Il musicologo Giancarlo Landini descrive il Festival lirico, con la “F” maiuscola, come l’apice della mondanità “décontractée-chic” dell’estate europea. All’inaugurazione, oltre all’onnipresente Giscard d’Estaing, i Ministri francesi della Cultura e dell’Istruzione, ed una mezza dozzina di sottosegretari, nonché esponenti del mondo politico della Germania, della Gran Bretagna e del Benelux (il direttore generale Bernard Foccroule è belga). Oltre all’intellighentsia sparsa che gira da festival a festival (dopo Aix, Glyndebourne e Bayreuth per finire l’estate a Salisburgo), molti gli amministratori delegati di grandi imprese (Hscc, Sacem, Kmpg, Cic-Lyonnaise de Banque, Lvmh, Lagardère con in prima fila i due partner per eccellenza, Vivendi e Deutsche Bank). E gli italiani? Bruno Visentini era un “habutué”; da allora rari i politici e gli unici giornalisti presenti sono critici musicali. Questo luglio 2008 molto presenti, e molto visibili, Mario Monti ed Alessandro Profumo.
Nella giornata si passeggia per Aix anche in pantaloni corti. I luoghi preferiti per gli incontri a lunch sono “Les Deux Garçons” (immortalato dagli amori di Jean Cocteau e Jean Marais) e “Le Grillon” (reso celebre dagli aperitivi di Jacques Attali) a cui si è aggiunto, di recente, “Le Passage”. Lì si incrocia “L’Europa-che-conta”. La sera, nei teatri, accanto a signori in smoking e signore in abito lungo, ci sono i blue-jeans e le T-shirts firmate. Dopo spettacolo, si cena a “La Bastide du Cours” (il cuoco non è dei migliori) o nella terrazza Grand Théâtre de Provence. Si intrecciano conversazioni su musica, politica ed affari.
Non è soltanto questa atmosfera ad attirare “l’Europa-che-può”. Il festival (il bilancio preventivo per il 2008 è 19,1 milioni d’euro) è finanziato in gran misura da privati – i contributi pubblici coprono meno di un terzo dei costi, quelli ministeriali circa il 15% del totale; la vendita di biglietti un altro 23%, le coproduzioni, le tournée ed i diritti radio-televisivi un buon 18%, il Casino d’Aix il 9%. Gli sponsor (3,2 milioni di euro- ossia il 16% del budget) sono grandi e piccoli (esiste anche un’Associazione di amici americani del festival); tra tutti, troneggiano i due partner ufficiali – la società franco-americana dei media e della tecnologia Vivendi e la Deutsche Bank. I partner privati hanno, quindi, interesse a ché la qualità sia alta ed il pubblico di livello.
Da alcuni anni, i Berliner Philarmoniker , guidati da Sir Simon Rattle, sono l’orchestra “residente”; a mezzadria con il Festival di Salisburgo stanno mettendo in scena la tetralogia wagneriana de “L’Anello del Nibelungo” (questo è l’anno di “Sigfrido”) – ciascuna opera debutta in Provenza ed alcuni mesi più tardi approda in Austria. Con rare eccezioni, per le altre opere in programma, Aix è la prima tappa di lunghi itinerari la prossima stagione. La discussa, e discutibile, mozartiana “Zaide” andrà al Lincoln Center di New York ed al Barbican Center di Londra, la novità assoluta “Passion” di Pascal Dusapin a Strasburgo, Lussemburgo, Brema, Parigi, Rouen e forse Roma; il nuovo allestimento di “Così fan tutte” a Londra; “L’Infedeltà Delusa” di Haydn in un vasto circuito francese; e “Belshazzar” di Händel a Berlino. Ciò consente a chi frequenta Aix di dire “lo ha già visto al Festival”, se e quando in varie città europee, nella stagione 2008-2009, si parla di spettacoli che hanno debuttato nella capitale provenzale.
La foresta di Sigfrido. Il Festival 2008 è iniziato male – la mozartiana “Zaide” è un’opera mediocre ed incompiuta (mai rappresentata con l’autore in vita), aggravata da una regia cervellotica di Peter Sellars e da un cast peggio assortito assortito. Agli applausi di cortesia del pubblico, hanno corrisposto recensioni al vetriolo. Conosco bene la partitura; tranne la ninna-nanna “Ruhe sanft” la considero tra i lavori meno riusciti di Mozart (forse proprio per questo non venne mai messa in scena). Non è, però, irrappresentabile. La rende tale Peter Sellars; era un geniaccio negli Usa Anni Settanta, ora è idolatrato da certa sinistra europea, ma ripete sempre se stesso. Interpola i testi, li volgarizza e le riempie di violenza gratuita. Attenzione non ha la tendenza di Calisto Bieito di mettere in scena (quale che sia l’opera) un bel po’ di maschi nudi puntando i riflettori sui genitali – un giovane tenore italiana di bella voce e aspetto avvenente ha chiesto, ed ottenuto, per contratto da una fondazione lirica nostrana di poter portare le mutande durante tutto lo spettacolo. Non ha neanche l’ossessione dei deretani (anche questa volta prevalentemente maschili) sempre presente negli spettacoli della Sociètas Raffaello Sanzio. Sellars, però, non ha alcun rispetto per l’autore. Nella sua “Zaide”resta ben poco anche a ragione delle libertà che si prende con il testo e con le voci.

Il festival si è, però, ripreso subito con uno strepitoso “Siegfried”, terza opera della tetralogia wagneriana che Aix co-produce con il Festival di Salisburgo (dove arriverà tra alcuni mesi), giovandosi dell’apporto dei Berliner Philamoniker guidati da Simon Rattle e della regia, scene e costumi di Stéphane Braunschweig (chiamato ad inaugurare la Scala con il verdiano “Don Carlo”). Oltre cinque ore di spettacolo sono state seguite da circa 20 minuti d’ovazioni da stadio.
“Siegfried” è un adolescente innocente, che non conosce paura. Forgia la spada invincibile che appartenne a suo padre. Uccide il drago Fafner e si impossessa dell’anello che dà il potere assoluto sul mondo. Avvisato da un uccello che il nano Mine vuole avvelenarlo per impossessarsi dell’anello, ne fa polpette. Spezza anche la lancia del Re degli Dei, Wotan, per poter varcare una cortina di fuoco, dietro la quale scopre la vergine Brunilde. Alla vista, per la prima volta, di una donna, viene attanagliato del terrore, sino a quando, in un duetto travolgente di 45 minuti, decidono di darsi l’uno all’altra.
Nel ruolo del protagonista, debutta, a 54 anni, il canadese Ben Heppner, il quale conferma di essere uno dei migliori tenori eroici su piazza e dimostra di essere un attore di razza. Vestito da ragazzone in camicia a scacchi, assomiglia più ad un bamboccione che ad un adolescente, ma supera bene un ruolo che lo vede in scena per oltre tre ore e mezza; a volte, l’orchestra lo copre ed al termine del duetto finale è stremato dalla fatica. Katerina Dalayman è una Brunilde di fuoco; arriva fresca al duetto finale (entra in scena solo alle fine dell’opera) e canta come una forza della natura (sovrastando i Berliner). William White è un Wotan dolente che ormai brama il crepuscolo degli Dei, della cui imminenza lo avverte Anna Larsson (Erda, la madre terra). Una vera e propria scoperta Burkhard Urlich nel ruolo di Mine.
Naturalmente la bacchetta di Sir Simon Rattle dà un’impostazione sinfonica al lavoro, accelera i tempi per accentuare il ritmo, esaltare i momenti timbrici, fare respirare l’atmosfera della foresta; i fiati e gli strumenti a corda hanno un risalto analogo a quello che diede loro Georg Solti in una celebre edizione in studio degli Anni 60.
Veniamo, infine, alla regia. Braunschweig trasporta “Siegfried” in un’epoca imprecisata, ma non dissimile all’attuale. Il protagonista sembra uno studente americano. Brunilde indossa un’elegante camicia bianca che invita nell’enorme letto che domina la scena finale. Wotan è avvolto in un lungo impermeabile, Mine assomiglia ad un artigiano e suo fratello Alberich ad un esattore. Una scena unica (tre immense pareti grigie) che, con un minimo di proiezioni e di attrezzeria astratta, rendono tutti gli effetti speciali (il viaggio nella foresta, la battaglia con il drago, la discesa al ventre della terra per interrogare Erda, il muro di fuoco a difesa della verginità di Brunilde). Un “teatro di regia” intelligente ed efficace.

Lui, lei e gli altri Quasi ogni anno, il festival commissiona un’opera contemporanea di autore vivente. Questo luglio ha debuttato “Passion” di Pascal Dusapin, cresciuto all’insegna dell’avanguardia con maestri come Olivier Messian e Iannis Xenakis, è stato uno dei protagonisti delle esperienze foniche dell’Ircam. L’opera ha un libretto in lingua italiana (reso accessibile, ai francesi, da utili sovrattitoli). In settembre comincia un lungo viaggio, che la porterà a Strasburgo, Rouen, Parigi, Vienna, Lussemburgo e probabilmente New York e Roma – per parlare unicamente degli impegni nella stagione 2008-2009.
Sesta opera di Dusapin (il suo “Romeo e Giulietta” del 1988 è stato ripreso di recente a Parigi), viene dopo “Perelà, Uomo di Fumo” presentata nel 2003 all’Opéra-Bastille e “Faustus, the Last Night” che ha debutto nel 2006 alla Staatsoper under den Linden di Berlino. Insieme costituiscono una trilogia di riflessioni sul significato dell’esistenza. “Perelà”- ci dice Dusapin - è un grand-opéra ispirato ai Vangeli (anche se tratto da un romanzo di un ebreo); termina con l’Ascenzione”( verso lassù). In “Faustus”, “il protagonista dice, sin dalla prima scena, di venire da laggiù” (ossia dal ventre delle terra, dall’Oltretomba). “Passion” investiga (come può farlo un artista) se si può andare da “laggiù” (inteso come regno della morte dei sentimenti) a “lassù” (inteso non come Cielo ma come terra con le sue angosce e passioni). Il richiamo è evidentemente al mito d’Orfeo (il musicista per eccellenza) che tenta, senza riuscirci, di portare “da laggiù” a “lassù” la sua Euridice. Per farlo – lo sappiamo- deve scendere all’Ade e provare “paura” e “desiderio”, due dei tanti aspetti di ciò che si chiama “passione”. “La passione – aggiunge – Dusapin è sempre multiforme: l’addoloratissima Maria nella Pietà di Michelangelo ha un volto quasi sorridente, e comunque da infondere serenità”. Un lavoro religioso? “Non necessariamente, ma senza dubbio spirituale”.
Perché il testo del libretto è in italiano? Dusapin (oggi ha 54 anni) è stato “pensionaire” dell’Accademia di Francia a Roma nel 1981-83 e si destreggia bene nella nostra lingua. La ragione è nel volersi collegare con l’origine del teatro in musica; per questo motivo il testo è costituito da brani di Badoaro e Busenello e Striggio (i librettisti di Monteverdi), oltre che di Dante e di Tasso. Sono frammenti ricostruiti in gran misura in prosa, anche se in certi momenti (specialmente quelli corali) tornano i versi. La regia e la scena sono affidate ad un italiano (che lavora, però, prevalentemente all’estero): Giuseppe Frigeni.
E’ uno spettacolo in estrema economia di mezzi: due soli cantanti – attori – Lui e Lei – ed un coro di sei elementi – gli Altri. Un’orchestra barocca – quattro archi, sei fiati, tre ottoni, un’arpa, un clavicembalo- integrata da “live electronics” ed elettroacustica (i due protagonisti indossano un dispositivo elettronico che trasforma in suono i movimenti dei loro muscoli). In questa ricostruzione moderna del mito d’Orfeo ed Euridice, in cui Lei, anche dopo aver avuto un nuovo momento d’amore con Lui, vuole restare “laggiù”(nel’Oltretomba) piuttosto che ascendere lassù (sulla Terra). Novanta minuti, senza intervallo, ma con due intermezzi per orchestra e movimenti mimici. Una partitura d’estrema eleganza; la live electronics e l’elettroacustica si fondono su una struttura madrigalistica dove prevalgono il “recitar cantando”, il declamato ed i virtuosismi dei solisti, ma non mancano gli abbandoni lirici. Richiede orecchia use sia alla contemporaneità più avanzata sia all’inizio del teatro in musica (quattro secoli fa). Dusapin afferma di “militare per l’espressione pura, cosa non certo ben vista di questi tempi” (dove tutto si butta in politica e prevalentemente da una parte sola). Il successo di “Passion” mostra che forse ha ragion

Mozart e Haydn Date le origini mozartiane del festival e l’architettura sei-settecentesca di Aix, non poteva mancare l’omaggio al genio di Salisburgo che questo 2008 si accompagna con un anticipo delle celebrazioni che nel 2009 si faranno per il bicentenario della morte di Franz Joseph Haydn. Di Mozart viene proposto un nuovo allestimento del mozartiano “Così fan tutte” (a cura del regista iraniano Abbas Kiarostami, pluripremiato negli ultimi vent’anni per i suoi film) che andrà all’English National Opera, ad Atene ed a Lussemburgo. La scorsa stagione si sono visti, in Italia, una dozzina di allestimenti di “Così” L’intreccio è basato su complessi giochi di coppia. Soffermiamoci sulla regia di Kiarostami (che ha ammesso di non essere mai entrato in un teatro, neanche di prosa prima di quest’esperienza): fedelissima al libretto (scene e costumi, di Chloe Obolenski, replicano minuziosamente l’Europa del 1790), immerge la vicenda in un Mediterraneo solare (il mare è quasi sempre presente grazie a proiezioni) e le toglie la patina cinica di molte letture tradizionali. I quattro giovani protagonisti restano con la bocca amara quando comprendono i giochi dell’infedeltà ma paiono concludere serenamente che “questo è il mondo” ed occorre adattarvisi senza troppe illusioni. Christophe Rousset, alla guida della Camerata Salzburg, fornisce una direzione musicale puntuale. Di buon livello i sei giovani protagonisti; merita un encomio particolare il tenore Pavol Breslik chiamato a sostituire, all’ultimo momento, un collega ammalato. Altra notazione: nessuno dei cantanti-attori è italiano, ma la dizione è ottima e non si perde una sola battuta. Spettacolo indubbiamente di fascino anche se non annebbia la memoria la bellissima edizione Chéreau-Harding che debuttò a Aix nel 2005 ed ha fatto il vero e proprio giro del mondo; mai come in quella edizione il gioco della finzione al cubo nei rapporti umani è stata presentata in modo così vivido.
Nel giocare d’anticipo in tema di celebrazioni Haydn, il festival ha messo in scena una delle sue 14 opere – poche rispetto alla sua produzione sterminata di sinfonie, sonate ed oratori: “L’infedeltà delusa”, creata per una visita dell’Imperatrice Marie-Thèrese al Castello degli Esterhazy dove il compositore era musicista di corte. E’ una burletta di circa due ore (in due atti) in cui la vicenda tradizionale del padre che vuol fare sposare la figlia non all’innamorato ma ad un ricco possidente, è spunto per una partitura piena di brio. Il regista, Richard Brunel proviene dalla prosa ma ha già esperienza di teatro musicale. La direzione musicale è affidata al giovane Jérémie Roher , allievo di Minkowski e Christie. Giovanissimo il cast – proveniente dall’Académie Européenne de Musique . La vicenda è attualizzata quasi ai nostri giorni, accentuando, con garbo, la carica ironica. Il cast da ottima prova. Si prevede una lunga tournée in Francia.

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