mercoledì 30 luglio 2008

MERCATI REGIONALI PIU’ FORTI SENZA IL WTO, Libero 31 luglio

Su Libero Mercato del 22 luglio avevo in gran misura anticipato l’esito (negativo) del negoziato in corso a Ginevra dal novembre 2001 ed avvertito che non ci sarebbe dovuto fasciare la testa ma guardare al futuro. Ieri, 29 luglio, in tarda serata, per le prassi ginevrine, un comunicato secco del Wto/Omc è giunto nelle redazioni per informare che i negoziati erano “collapsed”, falliti: su 20 punti all’ordine del giorno, le posizioni delle delegazioni sembravano convergere su 18, ma distanziarsi sempre di più sulla 19sima- le misure speciali di salvaguardia a favore dei Paesi in via di sviluppo. Le cronache di questa mattina riferiscono i dettagli delle ultime giornate del negoziato; la stampa di domani sarà probabilmente ancora più puntuale. Le specifiche delle ultime mosse negoziali prima della conclusione di non poter giungere ad un accordo, neanche minimale, confermano quanto previsto da Libero Mercato il 22 luglio. L’accordo che si tentava di raggiungere, comunque, non sarebbe stato libero scambista; tentando di salvare capra e cavoli la montagna della complessa macchina negoziale avrebbe partorito un topolino. Un topolino, per di più, con poche probabilità di restare in vita poiché una ratifica da parte del Congresso Usa sarebbe stata molto improbabile specialmente in caso di vittoria elettorale da parte di Barack Obama.
Non è il caso di tornare sulle cause più profonde del fallimento. Chiediamoci, in breve, quali possono essere le sue conseguenze di breve, medio e lungo periodo. Sotto il profilo quantitativo, l’analisi più completa e più recente è nel lavoro di un gruppo di ricerca composto d’economisti di sei università italiane e di due organizzazioni internazionali e guidato da Paolo Guerrieri e Luca Salvatici (Guerrieri P., Salvatici L. “Il Doha Round e il Wto- Una valutazione quantitativa degli scenari di liberalizzazione del commercio mondiale”, Il Mulino 2008). Lo studio – che tutti coloro interessati alla materia dovrebbero leggere – si differenzia da quelli approntati sei-sette anni fa da Banca Mondiale ed altri (in cui un esito positivo del negoziato avrebbe dato la volata all’economia internazionale). Non soltanto il quadro generale dell’economia internazionale è cambiato, ma il gruppo di ricerca ha costruito un modello computabile di equilibrio economico generale ed esaminato distintamente la trattativa agricola, il negoziato sui prodotti maniffatturieri e quello sui servizi non in base alle ipotesi di liberalizzazione contemplate nel novembre 2001 ma alla luce degli sviluppi successi al “vertice di Cantun” del settembre 2003 che mostrò quanto profondo fosse il disaccordo sia tra i principali gruppi di partecipanti sia all’interno di ciascuno di essi.
In termini di benessere, un accordo avrebbe dato benefici globali tra 31e 80 miliardi di dollari (a seconda delle specifiche dei contenuti dell’intesa), ossia la 0,1% e lo 0,4% del pil dei Paesi aderenti al Wto. L’intesa che si è tentato di definire in questi ultimi giorni a Ginevra riguardava un compromesso al ribasso. Il suo impatto, quindi, sarebbe stato al più 31 miliardi di dollari – lo 0,1% del pil. Si tratta – si badi bene – non di una tantum, ma di una cifra che si sarebbe affievolita nel giro di pochi anni. La perdita, dunque, è stata modesta sotto il profilo quantitativo.
Molto maggiore l’impatto psicologico- ma qui si entra in “neuroeconomia”: il negoziato lanciato per dare una molla all’economia mondiale, strapiomba proprio all’indomani di moniti del Fondo monetario e del Segretario Usa secondo i quali le difficoltà della finanza mondiale (subprime, squilibri delle bilance dei pagamenti, nuove pressioni inflazionistiche) sono destinate a durare sino a tutto il 2009. La conclusione di un accordo a Ginevra (al di là di contenuti ed impatti) sarebbe stata mostrata ai media e dai media come un segnale che la Politica con la “P” maiuscola sta riprendendo controllo dei nodi dell’economia mondiale. Sarebbe stato poco più di un’aspirina, ma avrebbe dato quella iniezione di fiducia (almeno a breve termine) di cui c’è bisogno.
Quali le prospettive a medio termine? Gli scenari sono i seguenti:
· Ritorno del protezionismo. Ce n’è tanta voglia, non solo nei Paesi in via di sviluppo ma negli Usa e nell’Ue. Negli Usa, Obama ha un programma decisamente protezionista e McCain (pur favorevole al libero commercio) non hai mai preso una chiara posizione in materia. L’attuale Parlamento Europeo è il più protezionista da quando l’istituzione è stata creata.
· Evoluzione verso grandi mercati comuni regionali. Natfa, Ue, Unione Mediterranea, Apec è simili hanno vantaggi e svantaggi : possono essere uno stadio verso negoziati tra aree e strumento di liberalizzazione oppure possono chiudersi in sé stessi e fomentare guerre commerciali.
· Una riforma della macchina negoziale. Tra le proposte sul tappeto merita (come già scritto su Libero Mercato del 22 luglio) merita particolare attenzione quella redatta congiuntamente dal Kiel Institute for World Economy (un centro di ricerche tedesco) ed il Center for Economic Policy Research (un centro studi americano). Prevede negoziati brevi e concentrati soltanto su alcuni temi ben definiti.

Quale che sarà l’evoluzione, un punto è assodato. I principi che hanno retto la liberalizzazione degli scambi dal 1948 – reciprocità e non discriminazione – appartengono ormai ai libri di storia economica.

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