mercoledì 18 giugno 2008

PERCHE' PER ALITALIA (E AIRONE) IL QUADRO SI COMPLICA

Con l’avvicinarsi della prima “rata” della manovra economica (dovrebbe essere varata dal Consiglio dei Ministri del 18 giugno), l’attenzione sulle vicende dell’Alitalia è uscita delle prime pagine dei giornali (e in gran misura anche dalle pagine economiche). E’ stato convertito in legge il decreto con cui si da respiro alla compagnia per un certo lasso di tempo (se si tratta di 6 o di 12 mesi è questione di lana caprina che lasciamo ai barracuda-esperti) . La Commissione Europea ha iniziato l’indagine sulla natura dell’intervento – se si tratta o meno di aiuto di stato. Come avevamo avvertito su “L’Occidentale” del 6 giugno, molte illazioni e la forte dose di allarmismo che ha caratterizzato l’inizio del mese è parsa scemare.
Ciò non vuole dire, però, che la situazione sia oggi meno critica di quanto non fosse alcune settimane fa. Lo è probabilmente più di allora non soltanto per un elemento di cui parla gran parte della stampa – l’aumento dei costi, specialmente per il carburante, a ragione dell’andamento dei corsi del petrolio e la diminuzione della domanda di trasporto aereo che caratterizza qualsiasi fase di decelerazione dell’andamento economico nei principali Paesi industriali ad economia di mercato, Usa in primo luogo. Lo è anche e soprattutto a ragione di un fenomeni che non ha sino ad ora attratto neanche l’attenzione della stampa specializzata (se non quella del comparto dell’aviazione civile): il vero e proprio tracollo, a livello mondiale, della valorizzazione azionaria delle compagnie aeree.
Abbiamo fatto quattro conti: dall’aprile 2007 ad oggi, il Dow Jones Wilshire Index – un indicatore poco noto in Italia ma che riflette l’andamento dell’azionario dell’aviazione civile a livello mondiale – ha segnato una contrazione del 40% mentre il Morgan Stanley Capital Index (World) ne ha riportata una dell’8,5%. In sintesi, in una fase in ogni caso di stanchezza sui mercati azionari mondiali (crisi subprime, preoccupazioni su una possibile recessione Usa, fallimento virtuale nel negoziato multilaterale sugli scambi, incertezze sui movimenti dei cambi), le compagnie aree hanno avuto risultati molto peggiori della media di tutti i comparti. Conrad de Aennlle si è chiesto, sul supplemento economico del “New York Times”, quali sono le strade per chi ha nel proprio portafoglio azioni di compagnie aeree: a) scappare (vendendo); b) cercare di “comportarsi da eroe”; d) restare nel comparto per cercare di identificare con grande attenzione dove collocare i propri risparmi.
Brian Nelson di Morningstar (una nota società di consulenza in materia di investimenti) suggerisce ai suoi clienti di lasciare il settore: un anno e mezzo fa Nelson aveva previsto il tracollo di US Airways (le cui azioni valevano allora, a Wall Street, $ 600 ed oggi appena $ 5). Nella sua lettera riservata agli operatori tratteggia un quadro apocalittico: il forte delle valorizzazioni sarebbe l’anti-generale di una serie di procedure fallimentari. Più possibilista Andrew Light, che segue il settore per Citigroup (molto esposta nel comparto): suggerisce di tenere azioni AirFrance-Klm e Lufthansa (nell’aspettativa di una ripresa del mercato europeo) e di puntare su Ryanair e Easyjet nella prospettiva della chiusura delle attività di altre piccole “low cost” europee nate come funghi in questi ultimi anni.
Tutto ciò ha due implicazioni molto serie per Alitalia (e per AirOne): a) da un lato, le banche sono maggiormente restie ad investire nel settore in generale; b) da un alto, gli stessi potenziali partner industriali internazionali hanno i loro problemi e mordono il freno.

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