domenica 27 aprile 2008

QUANDO PERDE LA SINISTRA NON RICOSCE PIU' IL VALORE DELL'ARTE, L'Occidentale 27 aprile

Poco dopo la mezzanotte tra il 24 ed il 25 aprile, nell’elegante buffet organizzato (per la stampa e per un certo numero di ospiti) dal Teatro Lirico di Cagliari in occasione dell’inaugurazione della stagione, si udiva il brontolio della sinistra-che-perde. Gran parte della critica musicale dei quotidiani e periodici schierati a sinistra esprimeva disappunto nei confronti del lavoro messo in scena - “La leggenda della città invisibile di Kitež e della fanciulla Fevronija”, dramma mistisco in quattro atti su libretto di Vladimir Bel’skij e musica di Nikolaj Rimskij-Korsakov, realizzata in coproduzione con il Teatro Bolshoi di Mosca- e della regia del lituano Eimuntas Nekrosius. Poche le eccezioni: evidentemente, Paolo Isotta del “Corriere della Sera”, Lorenzo Tozzi de “Il Tempo”, il vostro chroniqueur e qualche altro.
Cosa si rimproverava? La lunghezza del lavoro, pur sfoltito dal maestro concertatore Alecander Vedernikov , direttore musicale del Bolshoi: dura circa 3 ore e mezzo, una di meno dei “Maestri cantori” wagneriani e poco più di numerose opere verdine. La staticità della drammaturgia? Suvvia, l’azione si dipana in una foresta (primo atto), una piazza di mercato ed una cattedrale (secondo atto), il Cremlino di un principato russo, una battaglia, il campo degli invasori tartari (terzo atto), una steppa ed il Paradiso (quarto atto). La regia di Nekrosius? Astratta, surreale, visionaria con poche reazioni al verismo.
Tutte critiche prive di vere basi. Quel che dà fastidio ad una certa sinistra che perde è, in primo luogo, che il Lirico di Cagliari è, con l’Opera di Roma ed il Massimo di Palermo, una delle tre fondazioni affidate a Sovrintendenti non legati ai loro gruppetti e gruppuscoli ma che dopo avere ereditato enti sull’orlo della bancarotta sono riusciti a risanarli, nell’arco di tre-quattro anni, senza ridurre la produzione e senza scendere a compromessi in materia di qualità. In secondo luogo – e questo è forse quello che a loro duole di più – è che l’opera di Rimskij-Korsakov , letta da Nekrosius, ha un nesso con quanto detto sul futuro dell’Europa dal Presidente della Lituania Vytautas Landsbergis , musicista a musicologo di fama internazionale, il 19 aprile in occasione della lettura annuale della Fondazione Magna-Carta: le radici cristiane come strumento per la crescita e per la libertà.
“La leggenda della città invisibile di Kitež e della fanciulla Fevronija” si distingue dal resto della sua produzione di Nikolaj Rimskij-Korsakov per la durata, la trasparenza orchestrale, il sinfonismo da grande organico wagneriano e la complessità vocale (richiede 18 solisti) ma anche perché è un’opera religiosa. Un musicologo sovietico, Petrovski, la ha chiamata “opera liturgica”. Il programma allegato ad un’esecuzione del 1956 a Mosca si chiedeva “E’ un Parsifal russo?”. Negli anni del leninismo e dello stalinismo, la Commissione per l’Ateismo discusse a lungo se il lavoro potesse essere rappresentato. Venne in parte modificato (eliminando i cori di ringraziamento a Dio) per poter andare in scena al Bolshoi nel 1926; da allora alla morte di Stalin in Russia la stessa versione modificata venne ripresa soltanto otto volte, mentre arrivò (in integrale) a Parigi, in Spagna, in Belgio ed alla Scala (nel 1933 e nel 1954 oltre che al Maggio Musicale Fiorentino del 1990).
Con un numero limitato di elementi Nekrosius e la sua quadra riescono a ricreare la foresta, la città piccola, la città grande, il lago, il campo tartaro, le steppe ed anche il Paradiso. Inoltre a differenza dell’approccio ieratico (e statico) della regia di Pizzi al Maggio Musicale del 1990, ogni azione per movimento scenico viene colta; ne risulta un ritmo incalzante (nei limiti che ciò è possibile in un’opera fiabesco-religiosa) , nonché una vera e propria messe di invenzioni. Il lavoro è co-prodotto dal Bolshoi d Mosca dove entra in repertorio il 10 ottobre ma è stato anche concepito per essere agevolmente portato in tournée. Quindi, la scenografia è scarna; ispirata alla pittura nordica (piuttosto che all’iconografia russa), con un omaggio a Piero della Francesca (i cappelli dei notabili), in modo che possa essere trasportata da un teatro all’altro. Ed a diffondere un messaggio non gradito alla sinistra-che-perde.

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