domenica 6 aprile 2008

MARC'ANTONIO E CLEOPATRA, Operaclick 6 aprile

Raramente eseguito in Italia, Hasse ha un ruolo rilevante nella storia della musica non solo per la sua vastissima produzione ma anche perché dopo una brillante carriera in Italia, specialmente a Napoli e Venezia, fu compositore di Corte a Vienna e al servizio della casa Reale di Polonia in esilio ponendosi con Metastasio alla guida alla guida della scuola “italiana” che difese l’opera seria all’italiana contro l’avanzare delle riforme, in primo luogo quella di Gluck. In Germania le sue opere vengono regolarmente rappresentate ed ogni anno viene tenuto un Festival di suoi lavori. In Italia, la sua musica si ascolta soltanto in occasione di rassegne di barocco oppure per iniziativa di ensemble coraggiosi come il Romabarocca animato, con energia e fantasia, dal musicologo e cembalista Lorenzo Tozzi. Una messa in scena, con addobbi e costumi, di “Marc’Antonio e Cleopatra” è, quindi, una vera rarità. Spieghiamo: l’Oratorio del Gonfalone è un gioiello architettonico tra Via Giulia ed il Tevere; è interamente affrescato da un ciclo, che raffigura in dodici episodi la Passione di Cristo, le scene sono inquadrate da una intelaiatura architettonica formata da colonne tortili ispirate alle colonne vitinee dell'antica Basilica di San Pietro, che provenivano, secondo una antica leggenda, dal Tempio di Salomone.Sopra ogni episodio sono raffigurati un Profeta e una Sibilla, suddivisi da un’edicola architettonica che racchiude una figura allegorica dipinta in monocromo.Il ciclo fu eseguito tra gli anni 1569 e 1576, quando era cardinale protettore dell'Oratorio, Alessandro Farnese, il cui stemma si trova sul soffitto ligneo intagliato da Ambrogio Bonazzini, uno dei più grandi specialisti dell'epoca, è un esempio di rara e pregevole qualità. In questa scena naturale, bastano i costumi settecenteschi ed un minimo di regia per ricreare l’atmosfera del 1725 quando a Napoli “Mar’Antonio e Cleopatra”, di un Hasse appena ventiseienne, ebbe la prima esecuzione. Sotto il profilo tecnico “Marc’Antonio e Cleopatra”, effettivo debutto del sassone Johann Adolf Hasse (Bergedorf 1699 – Venezia 1783) nell’agone lirico, non è un’opera seria, ma una serenata a due voci, ossia un’azione scenica breve che, pur richiedendo un piccolo organico, è comunque drammaturgicamente compiuta. Il lavoro preannuncia la nutrita produzione del lustro successivo (1725-30): sette “opere serie”, otto intermezzi comici, due commedie per musica e tre serenate.Dedicata all’ ”illustre coppia” austriaca regnante anche nel Vicereame di Napoli dal 1713, l’imperatore Carlo VI di Asburgo ed Elisabetta Cristina di Braunschweig Wolfenbüttel, la “serenata” , presentata a Napoli in un contesto privato nell’ estate 1725 (forse in settembre nel “casino di campagna” dei Carmignano), segna dunque l’inizio di una luminosa carriera, prima napoletana poi italiana.La “serenata” si compone di quattro arie (due per personaggio) e di un duetto finale per ciascuno dei due brevi atti, intercalati da recitativi secchi o accompagnati. La prima esecuzione ha avuto eccezionali interpreti, seppur giovanissimi: la parte della regina egiziana era affidata all’astro emergente del belcanto, l’evirato cantore pugliese appena ventenne Carlo Broschi, detto il Farinelli, allievo di Porpora mentre Marc’Antonio era il venticinquenne contralto, eccellente in ruoli en travesti, Vittoria Tesi, detta la Moretta per le origini africane del padre. Il libretto di Francesco Ricciardi, già impresario del Teatro dei Fiorentini e più tardi del Teatro San Bartolomeo, rievoca gli ultimi drammatici momenti della storica vicenda del contrastato amore tra il triumviro romano e l’avvenente regina egizia seguiti alla sconfitta navale di Azio (31 a.C.) ad opera di Ottaviano, oggetto quasi contemporaneamente dei celebri dipinti di Tiepolo a Palazzo Labia a Venezia (l’Incontro e il Banchetto). Segue gli ultimi due atti di “Anthony and Cleopatra” di Shakespeare, probabilmente noto in una versione ridotta al pubblico romano. In confronto tra la ragione politica e quella del cuore di fronte alla disfatta ormai inevitabile, quasi in un paradossale scambio dei ruoli, l’eroica Cleopatra ostenta sicurezza e stoico disprezzo per la morte, mentre Antonio è ancora in vena di effusioni sentimentali. La “serenata” inizia con una Sinfonia in due movimenti: una eroica e cerimoniosa Ouverture alla francese (Spiritoso e staccato) ed un grazioso fugato (Allegro). Un’aria per ciascuno tratteggia i due caratteri contrapposti: in un ritmo di aggraziato minuetto il triumviro (Pur ch’io possa) si dichiara vinto dall’amore, mentre la regina dopo un drammatico recitativo nella sua aria in sol minore (Morte col fiero aspetto) dichiara di preferire la morte al disonore. E la diversità di scrittura permea di sé le rispettive arie dei due amanti, Occorre, in primo luogo, complimentarsi con Tozzi ed il complesso Romabarocca per avere messo in scena il lavoro. Occorre, in secondo luogo, lamentare la disattenzione del pubblico romano che ha riempito appena metà della bella sala del Gonfalone. Romabarocca, guidato da Tozzi, ha ricreato l’eleganza settecentesca della musica di Hasse risolvendo anche la situazione più drammatica con soavità di delicato ricamo.L’azione, infatti, si svolge dopo la battaglia d’Azio nel mausoleo di Tolomeo e comporta un doppio suicidio, nella speranza che dalla tragica vicenda nasca un giorno l’Austria Felix degli Asburgo (sic!).Dei due interpreti, il giovane e bel soprano russo Alla Gof (già ascoltata al Lirico Sperimentale di Spoleto) sovrasta il sopranista Angelo Mazzotti. La Gof ha un’emissione perfetta ed una notevole capacità di ascendere e discendere dal registro acuto. Mazzotti non era forse in una delle sue serate migliori: forzava gli acuti e sovracuti, tendeva a scendere verso un registro troppo grave per un sopranista riuscendo però a mantenere molto buono il legato.Il pubblico, pur non numeroso, ha accolto la proposta con applausi calorosi.

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