venerdì 11 aprile 2008

ALL’OPERA DI ROMA FINALMENTE, ARRIVANO I NOSTRI!! Il Velino, 9 aprile

Al Teatro dell’Opera di Roma, ci si scazzotta, ci si prende a pistolettate, si canta cavalcando un destriero bianco (lei) ed uno nero (lui), si tenta (senza successo) di rubare il “grisbi” (gergo della mafia marsigliese per “malloppo”) e di portarsi a letto (in barba alla propria legittima moglie) la titolare del bar “La Polka”.Quando, dopo una tempesta di neve, istigati da uno sceriffo (molto simile a Antonio Di Pietro), si sta per impiccare il bandito ravveduto (e costretto a fare il manigoldo dalla crudeltà del Fato e dalla cattiveria della società – un po’ come vengono considerati tali tanti dalle nostre parti, “arrivano i nostri!” (come nei Western in technicolor degli Anni Cinquanta) o meglio “arriva la nostra” con una carabina ed una colt, nonché un bel po’ di argomenti persuasivi tali da toccare il cuore. I torti sono sanati, lo sceriffo molto di parte (ed anche un po’ porcello) esce dalla vita pubblica (e gli aspettano vari colpi di matterello in testa in quella privata), lui e lei abbondano ogni progetto di DICO, volano a cavallo a giuste nozze con l’impegno di non vivere più in California dove imperversa il giustizialismo giacobino.
Questa è “La fanciulla del West” di Giacomo Puccini in scena al Teatro dell’Opera di Roma in un allestimento (anche la lirica si globalizza) a mezzadria con la Los Angeles Opera. La regia è di Giancarlo Del Monaco. Fortunatamente, non ci dà una lettura innovativa dove il Far West della febbre dell’oro è trapiantato nella “Milano-da-bere” od altro luogo contemporaneo, la protagonista appare come la goyesca “maja denuda” e il protagonista Dick mostra il proprio “dick” (gergo americano per ciò che in Italia è chiamato “pisello”). Ormai queste sono le prassi di molti teatri: un giovane tenore italiano di bella presenza ha dovuto chiedere che sia contrattualizzato da una nota fondazione teatrale italiano l’impegno a non domandargli di mostrare in scena basso schiena e genitali senza mutande.
Siamo in West da technicolor con il mi maggiore che si staglia su una magnifica alba rossa, “saloon” che puzzano Holywood, nevicate troppo abbondanti da potere essere vere, villaggi di cow-boys che ricordano “Ombre Rosse” e vera passione carnale tra i due protagonisti, ritrovatisi per caso dopo un primo incontro sulla via di Monterey. La splendida Daniela Dessì (una delle migliore cantanti europee) assomiglia alla Marlen Dietrich di “Rancho Notorius” od alla Joan Crawford di Jonny Guitar oppure alla Jeanne Maureau di “Viva Maria”: spara, non solo adorabili si naturali ma anche pallottole – però per una buona causa. Fabio Armiliato, il “Dick” della faccenda, concede il bis di “Ch’ella mi creda”, aria scritta da Puccini su richiesta specifica di Enrico Caruso. Silvano Carroli tira fuori una voce che ci fa dimenticare la sua data di nascita. Sopratto Gianluigi Gelmetti regala un Puccini moderno, modernissimo. Piace al pubblico. Ed alla critica.
Perché scervellarsi tanto in regie alimbiccate ?! Facciamo “arrivare i nostri”. Anche e soprattutto il prossimo fine settimana.

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