martedì 5 febbraio 2008

L'INFLAZIONE AUMENTA ED ALL'ITALIA SERVE UN NUOVO GOVERNO

Le consultazioni con le parti sociali (ed in effetti soltanto con alcune di esse non la trentacinquina di sigle che dal luglio 1993 firmano accordi e protocolli “di concertazione”) è una novità assoluta nelle procedure e nella prassi italiana per tentare di formare un nuovo Governo oppure andare allo scioglimento delle Camere ed a nuove elezioni. Dai comunicati diramati da Palazzo Giustiniani e dalle dichiarazioni rese dai “consultati” non è chiaro se negli incontri abbiano trattato (oltre che di riforma elettorale, tema non strettamente di loro competenza) delle materie che dovrebbero più vicine alle loro preoccupazioni quali
a) I numeri dei conti pubblici sono chiari: con un aumento del pil dello 0,8% - stime Fmi - rispetto all’1,5% sulla cui base è stata fatta la finanziaria, nel giugno 2008 (all’”assestamento di bilancio”) si dovrà fare un aggiustamento (per il resto dell’anno) di 10-12 miliardi- quindi, una nuova finanziaria. Come si è visto su L’Occidentale del 29 gennaio, una manovra di tale natura peserà molto su imprese e lavoratori se spalmata su sei mesi, ma rischia di stangare gli uni e gli altri se si ritarda il voto ed occorrerà effettuarla su tre mesi.
b) I Paesi neo-comunitari stanno attuando politiche fiscale aggressive basate su bassa imposizione e “flat tax” (aliquota unica). Se non ci mettiamo al passo, le imprese rischiano di affondare oppure di essere costretti a produrre (e creare occupazione) all’estero per vendere in Italia. E’ essenziale riformare al più presto il fisco, ridurre la spesa pubblica e, a tale fine, abrogare la contro-riforma della previdenza varata in dicembre e la sprecopoli degli ultimi 20 mesi.
c) Le preoccupazioni lanciate a proposito del deterioramento dei tenori di vita delle fasce medio-basse a ragione del modo in cui si andava verso l’euro, ha visto confermati i propri timori. L’unica strada percorribile è la riduzione della spesa pubblica di parte corrente per mettere alleggerimenti tributari e contributivi.
d) L’invecchiamento è la principale determinante di una stagnazione della produttività che minaccia di diventare contrazione. Ciò dovrebbe allarmare imprese e sindacati. Le misure per i redditi ed i consumi della famiglia possono dare un contributo. Senza programmi espliciti per incoraggiare la natalità, non si potrà arrestare il declino dell’Italia.

Al silenzio su questi temi si aggiunge quello davvero assordante in materia di inflazione. L’indice armonizzato dei prezzi al consumo per l’area dell’euro, in gennaio è aumentato ad un tasso del 3,2%, rispetto al 3,1% l’anno segnato in dicembre. E’ il saggio più alto segnato dal 1999 quando è nata la moneta unica. E’ un ritmo che supera alla lunga il tetto del 2% definito negli statuti della Banca centrale europea (Bce) come limite oltre il quale la politica monetaria dell’area dell’euro deve diventare restrittiva. Per il 2008, l’ultima tornata delle stime del “consensus” (i 20 istituti econometrici internazionali - tutti privati, nessuno italiano – che ogni mese producono previsioni dell’economia mondiale) annunciano un’accelerazione degli aumenti dei prezzi per l’intera area dell’euro e specialmente per l’Italia. Ciò dovrebbe inquietare le imprese perché una politica monetaria “non accomodante” vuole dire “credit crunch” (restrizioni creditizie) sulle loro operazioni. I sindacati dovrebbero essere ancora più preoccupati poiché ciò significa un ulteriore erosione del potere d’acquisto dei lavoratori.

Ove la situazione non fosse abbastanza complicata, la legge finanziaria ha aggravato il quadro. Prodi & Co. sapevano che spirava aria di chiamata alle urne; hanno, quindi, prodotto una legge di bilancio fatta di regali natalizi (tali da fare arrossire anche quelle che uscivano dalla Commissione Bilancio della Camera alla metà degli Anni Ottanta). Una finanziaria sbrindellata non agevola, ma rende più difficile, una politica diretta a frenare l’inflazione. Per coprire i doni a questo o quello con un velo, anche esso natalizio, la finanziaria ha regalato agli italiani più creduloni un Mr. Prezzi , come in gergo viene chiamato il "garante per la sorveglianza dei prezzi", un alto dirigente del Ministero dello Sviluppo Economico. Il quale, senza dubbia, ce la metterà tutta nell’affrontare una missione impossibile.
Le determinanti degli aumenti dei prezzi, però, sono strutturali: non siamo alle prese con brusche variazioni delle ragioni di scambio e con il riassetto interno delle remunerazioni del lavoro e del capitale (come negli Anni 70) ma con un mutamento drastico dell’economia mondiale. Ciò comporta – lo dice a tutto tondo l’ultimo rapporto Fao – la fine dei bassi costi delle derrate alimentari (dal 1850 al 1970 l’indice delle loro quotazione è aumentato appena del 50% per poi prendere un impennata che lo ha portato nel 2005 a superare di dieci volte il livello del 1850 ed all’ultima rilevazione di ben quindici volte). Questa determinante è più importante degli aumenti dei corsi del petrolio (cresciuti del 50% nel solo 2007). In tema di energia, c’è una gamma di alternative tecnologiche molto più ampia di quella in tema di produzione di cibo, la cui domanda è in rapida crescita poiché centinaia di milioni di persone stanno uscendo dalla miseria: mediamente un cinese mangiava 20 chili di carne l’anno nel 1985, oggi ne mangia 44 (e ci vogliono 8 chili di grano per produrne uno di carne).

“Mr. Prezzi” è una politica dei redditi in surroga, anzi un malcapitato che ha le vesti di colui con cui prendersela (scaricando parte delle responsabilità dalle autorità politiche). Se tenterà di introdurre controlli, potrà aggravare la situazione (con distorsioni dell’allocazione delle risorse), come provano tutte le esperienze del passato (soprattutto quella degli Usa nel 1971-73). Nelle consultazioni delle parti sociali a Palazzo Giustiniani nessuno pare abbia trattato questi temi. Oppure lo ho fatto in grande riservatezza. In effetti, per contenere gli aumenti dei prezzi al consumo e difendere il potere d’acquisto delle famiglie, in un’economia aperta come la nostra, c’è una unica strategia: liberalizzare mercati (specialmente nei servizi) e ridurre regole (a quando i risultati dei tanti annunciati studi sull’impatto della regolazione?). E’ risultata ostica al Parlamento della XV legislatura ed al Governo espresso nel 2006 da Camera e Senato.
La lezione da trarne dovrebbe essere quella di andare al più presto alle urne. Non si procrastinare . Rendendo i nodi più stretti per tutti.

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