sabato 19 gennaio 2008

SENZA CARTOLARIZZAZIONI NON RESTA CHE IL FONDO SOVRANO

Tra le vittime della crisi del subprime c’è una vittima molto importante: la cartolarizzazione. Questo strumento, nato negli Anni 70 ed è diventato uno dei protagonisti della finanza internazionale. I dati sono eloquenti. Negli Stati Uniti (dove i subprime hanno fatto più male) ed in Europa, mentre nel 2006 sono stati emesse titolarizzazioni per 1200 miliardi di dollari. Tuttavia, i dati preliminari per il 2007, che indicano che non più di 800 miliardi e, aspetto ancora più significativo, per appena 90 miliardi nel quarto trimestre, sono tali da far suonare un campanello d’allarme. E quel che è peggio, le prospettive per l’anno appena iniziato sono tutt’altro chr incoraggianti. Se Barclays Capital stima una contrazione del 43% (rispetto al 2007) nel mercato europeo ed una del 39% in quello americano, nel Vecchio Continente non manca chi addirittura si attende un prosciugamento di queste operazioni . Quali le conseguenze per i mercati finanziari e per le economie reali?
In una prima fase (sino alla fine degli Anni 90), le opinioni sulle cartolarizzazioni sono state divergenti. Una scuola di pensiero la ha considerate come un’opportunità non solo per avere maggiori investimenti ma anche per una loro migliore allocazione. Altri (ad esempio Robert Shiller della Università di Yale) le hanno viste come elemento della “esuberanza irrazionale” che ho portato gli indici azionari a livelli molto elevati, accentuandone al tempo stesso la volatilità. Ma negli ultimi anni, invece, si è formata una maggiore convergenza sui benefici (anche per l’economia reale) della titolarizzazione. Anche in Italia, Paese non certo all’avanguardia dell’innovazione finanziaria, alcuni studiosi sono giunti alla conclusione che questo strumento può offrire, in certe condizioni, un contributo importante alla stabilizzazione finanziaria ed al mantenimento di obiettivi macro-economici come quelli del “patto di crescita e di stabilità” alla base dell’unione monetaria. Un lavoro (in corso di pubblicazione) della Banca d’Italia, della Bce e della Università del Galles , dopo avere analizzato un vasto campione di istituti di credito europei, conclude che la titolarizzazione ha posto le banche “al riparo degli effetti di breve periodo delle politiche monetarie” e “rafforzato la loro capacità di espandere il credito”. Quindi, se lo strumento si rinsecchisce, ci possono implicazioni non soltanto sui mercati ma anche sull’economia reale. Secondo la Bce, se le titolarizzazioni si dimezzano, questo potrebbe ridurre del 10-15% il tasso di investimento. Di conseguenza, il tasso di crescita nell’area dell’euro potrebbe porre più vicino ad all’1,6% che all’1.9% ora stimato dai 20 maggiori centri internazionali di previsioni econometriche.
Si profila, però, un’ipotesi – la indicano, separatamente, i servizi studi dell’Ubs e della Pimco, uno dei maggiori gestori di reddito fisso (720 miliardi di dollari gestiti in fondi obbligazionari)- e cioè che a questo punto entrerebbero in gioco i fondi sovrani di nuove aree emergenti. Il problema è che la guida di tali strumenti è di natura politica ed è ancora molto difficile stabilire in che misura i fondi sovrani riusciranno a sostituire le cartolarizzazioni quale strumento di allocazione delle risorse.

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