sabato 12 gennaio 2008

PRODI: IO NON CASCO, MA L'ITALIA PRECIPITA-IL DOMENICALE 12 GENNAIO

Il 24 gennaio 2008 sbarca a Roma la missione del Fondo monetario internazionale (Fmi) per la verifica annuale dell’andamento e delle prospettive dell’economia italiana. Non è dato di sapere la delegazione Fmi si affiderà alla malconcia Alitalia, seguendo la tradizione di viaggiare in “prima classe” con la compagnia di bandiera del Paese a cui si va a rendere visita. E’ noto, però, che il 2007 è terminato con una polemica tra Fmi e Governo italiano. Il giorno di Santo Stefano, voci “raccolte in ambienti” dell’istituzione finanziaria internazionale con sede centrale a Washington mostravano disappunto per la finanziaria e la normativa sul welfare appena approvate, a colpi di voti di fiducia. Nel giro di poche ore, è giunta una semi-smentita (lo Fmi si sarebbe espresso soltanto dopo il soggiorno in Italia a cavallo tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio), senza dubbio frutto dell’abile lavoro del rappresentante del nostro Paese presso il Fondo, Arrigo Sadun.
Se, per ragioni di etichetta, lo Fmi tarda il verdetto, non lo fanno i 20 istituti econometrici (tutti privati, nessuno italiano) che costituiscono le basi per ciò che, in gergo, si chiama il “consensus” (le previsioni consensuali a breve termine). La vigilia di Natale (ultima tornata mensile del 2007, la prossima sarà a fine gennaio) hanno indicato che nel 2008 la crescita del pil dell’Italia sarà attorno all’1,3%. Un’analisi attenta dei dati (possibile soltanto se si è abbonati al “consesus”) mostra che oltre un terzo degli istituti prevede un tasso di aumento del pil inferiore all’1%. Quindi, la stessa stima di una pallida crescita all’1,3% è fragile; è verosimilmente probabile che a fine 2008 (se non avviene un brusco cambiamento di rotta) gli esiti effettivi saranno ancora più bassi.
Il Presidente del Consiglio Romano Prodi ed il Ministro dell’Economia e delle Finanze Tommaso Padoa-Schioppa hanno affidato al portavoce del Governo Silvio Sircana una strategia mediatica per attribuire la responsabilità al Governo Usa ed al rallentamento in atto negli Stati Uniti. Non sta certo a noi discettare se Sircana sia all’altezza di questo compito improbo. E’ un fatto che, sempre secondo i 20 istituti su cui si basa il “consensus”, il rallentamento Usa si è in gran misura già verificato; pur se un peggioramento del ciclo economico americano è possibile, la coda finale c’è probabilmente stata negli ultimi mesi del 2007. La stima dei 20 istituti è, comunque, di un aumento del pil Usa del 2% nel 2008 (il doppio circa di quello dell’Italia, nonostante la frenata) rispetto al 2,1% del 2007 – un cambiamento, dunque, impercettibile.
Le prospettive a breve termine (ossia relative al 2008) vanno inquadrate in un contesto di medio e lungo periodo. Lo fa uno studio della Banca centrale europea, pubblicato a Francoforte a fine novembre ma ignorato dai media italiani. Il lavoro stima all’1,3% l’anno il potenziale di crescita di lungo periodo dell’economia italiana. Le previsioni per il 2008, quindi, sarebbero (ove l’andamento effettivo non fosse peggiore) in linea con il potenziale di lungo periodo. Un potenziale scoraggiante rispetto al 2,2% l’anno per la media dell’intera area dell’euro e specialmente al fatto che l’Europa dell’unione monetaria ha un potenziale basso di crescita a lungo termine rispetto al 3,2% l’anno stimato dalla Bce per gli Usa, al 2,8% del Canada ed al 2,5% della Gran Bretagna. L’Italia non è solo l’ultima ruota del carro nell’area dell’euro, ma sfigura pure di fronte al vecchio ed addormentato (da tre lustri) Impero del Sol Levante (il cui potenziale di crescita a lungo termine è stimato all’1,5% dallo studio Bce). L’analisi Bce specifica che le determinanti principali dei nostri guai sono il declino relativo della popolazione in età da lavoro, le modeste spese in ricerca e sviluppo e, quindi, il comparativamente basso tasso di produttività multifattoriale. Non possono certo essere addebitate esclusivamente o principalmente agli ultimi 20 mesi di Governo. Sono comunque ben differenti dall’alto stock di debito pubblico che, secondo quanto da Prodi, sarebbe all’origine dell’insoddisfacente andamento del sistema Italia. Il debito limita indubbiamente i margini di manovra per tutte le politiche pubbliche (anche e soprattutto per quelle relative di crescita); tuttavia, il manuale di storia economica di Augusto Graziani (per decenni coerentemente collaterale alla sinistra) individua nella fine degli Anni 70 (quando Prodi è stato componente dell’Esecutivo) l’inizio del rapido aumento del debito pubblico. Sarebbe ingeneroso addebitare alla prima esperienza di Governo dell’attuale Presidente del Consiglio non solo “la legge Prodi” (per il salvataggio, con i soldi di tutti, di aziende decotte) ma anche l’andamento dell’economia italiana negli ultimi anni. Tuttavia, il colpo finale è stato assestato dall’aumento fiscale della finanziaria del dicembre 2005 ed aggravato dalle misure previdenziali e lavoristiche della finanziaria e della legge sul welfare del dicembre 2006. Non lo diciamo noi ma una serie di studi stranieri, l’ultimo dei quali viene dalla lontana Università Internazionale della Florida.
Il più eloquente è un rapporto dell’Ocse apparso all’inizio dell’inverno. L’analisi Ocse misura il differenziale di lungo termine di un indicatore composto (livelli e crescita del tenore di vita a parità di potere d’acquisto) rispetto ad un benchmark (metro di confronto) convenzionale, gli Usa: Italia e Giappone sono i Paesi che presentano il divario maggiore. Aver lasciato la strada moderatamente riformista della XIV legislatura per imbroccarne una di controriforme (previdenza, mercato del lavoro), di aggravio tributario e di complicazioni (invece che semplificazione) della regolamentazione ci costa, secondo l’Ocse, un tasso di crescita potenziale di almeno mezzo punto del pil l’anno: una legislatura di inazione (e di ritorni al passato) vuol dire una riduzione media dei tenori di vita almeno del 3% rispetto a quanto sarebbe stato possibile.
Lo studio Ocse contiene indicazioni specifiche per l’Italia: intensificare l’utilizzazione del lavoro (riducendo il cuneo fiscale ed incoraggiando la contrattazione collettiva decentrata al posto di quella nazionale) e migliorarne la produttività (promuovendo la concorrenza nei servizi iniziando dalla privatizzazione e liberalizzazione di quelli pubblici, migliorare scuola e università, modernizzare corporate governance e diritto fallimentare). Tutte aree in cui le modeste pulsioni riformiste di alcuni dei 12 (o giù di lì) soggetti politici che costituiscono la debole e traballante maggioranza vengono raggelate dalle richieste della sinistra “radical-reazionazionaria”.
Nulla induce a pensare che se Prodi continuerà ad essere il conducente dell’economia italiana nel 2008, questa situazione possa cambiare. Non appena lo stesso Viceministro dell’Economia e delle Finanze Vincenzo Visco ha accennato, tramite una lunga intervista ad un quotidiano a vasta diffusione, alla possibilità di un ritocco all’ingiù della pressione tributaria (anche prima del disegno di legge finanziaria del 30 settembre 2008), parte della maggioranza si è messa sul piede di guerra. Da un lato, alcuni esponenti di ciò che resta dell’Unione ha sottolineato che dopo due anni di aumenti della spesa pubblica ancora più rapidi di quelli del gettito fiscale non si è in condizioni di abbassare le aliquote tributarie ed il loro peso e continuare al tempo stesso a fare parte dell’unione monetaria europea. Da un altro, altri esponenti della maggioranza hanno lanciato la tesi opposta: non si dovrebbe alleggerire la pressione fiscale sino a quando non è stato operato un adeguato “risarcimento sociale”, ossia non vengono ulteriormente dilatate le spese per trasferimenti sociali.
Ancora meno speranze si possono nutrire in materia di regolazione, un freno all’economia ancora più insidioso dell’onere fiscale (anche se meno visibile di quest’ultimo). Il Governo ha l’obbligo dalla fine degli Anni 90 di applicare l’Air (Analisi dell’impatto della regolazione) non per scopi accademici ma per trarne indicazioni operative. Da quando è in carica Prodi, pare siano stati condotte (ma non ancora pubblicate) analisi della regolamentazione in materia di frantoi, vivai e biscotti. Tralasciando temi davvero critici. Lo si è toccato con mano all’Internazional Regulatory Reform Conference (IRRC) organizzata dalla Bertelsmann Stiftung (una fondazione privata): uno degli argomenti all’attenzione dell’IRRC è il ritardo relativo dell’Italia, e tra i Paesi Ocse e tra i Paesi Ue, in termini di modernizzazione della regolazione. Lo dice anche un lavoro recente della Banca Mondiale.
Quando nel lontano 1966-68 ero studente alla School of Advanced International Studies della Johns Hopkins University , il professore di economia internazionale, Isaiah Frank terminava ogni lezione (dopo aver illustrato anche le equazioni più complesso) con un “A rivederci alla prossima lezioni e , soprattutto, non fatevi mai illusioni”. Non facciamone affatto se non c’è una sterzata in guida politica.