mercoledì 9 gennaio 2008

LA VERTENZA SALARI METTE A NUDO GLI ERRORI TATTICI DEL SINDACATO

Il modo è cui è stata aperta la “vertenza salari” (per utilizzare il “sindacalese-del-tempo-che-fu”) mostra a tutto tondo non solamente gli errori tattici del sindacato (evidenziati con ricchezza di dati da Alessio Maniscalco su L’Occidentale del 7 gennaio) ma anche il ritardo culturale di parte della sua leadership. Tale ritardo riguarda sia il contesto istituzionale in cui sollevare, e risolvere, la “vertenza” sia soprattutto il ruolo della concertazione o del dialogo sociale in questo primo scorcio di XXI secolo e le modalità con cui affrontarlo. Uno dei maggiori sindacati italiani, la Cgil, è stato il grande tessitore dell’Unione con il cui vessillo la coalizione oggi al Governo si è presentata alla elezioni del 2006; viene correntamente indicato come il “king maker” di Prodi e dell’alleanza che lo tiene in piede. Per questa ragione, il ritardo culturale è tanto grave.

In primo luogo, tale ritardo si manifesta, nel breve periodo, nel non avere utilizzato il contesto istituzionale in vigore per lanciare la “vertenza”. Tale contesto ha il suo impianto nell’ormai datato, ma sempre vigente, “patto di San Tommaso” del luglio 1993, ribadito dei “patti sociali” (di Natale, per l’Italia e via discorrendo) che si sono succeduti negli ultimi tre lustri: esso prevede due “sessioni di politica dei redditi” l’anno – una in primavera prima della definizione degli indirizzi del Dpef ed una in autunno prima della messa a punto della legge finanziaria. Paradossalmente, verosimilmente su iniziativa del Ministro del Lavoro Cesare Damiano (che conosce a menadito il “patto di San Tommaso” ed i protocolli ad esso successivi) , le due sessioni si sono tenute (nonostante la prassi di organizzarle si fosse negli ultimi 15 anni poco a poco affievolita). E’ in questo contesto istituzionale che andava sollevata la “vertenza” non solamente perché in tale quadro si sarebbero potute individuare le risorse (ad esempio per gli sgravi fiscali) tramite le quali impostare una soluzione ma perché era la sede per definire il ruolo delle parti sociali in una politica di crescita con equità.

In secondo luogo, ed è questo l’aspetto di maggior rilievo, in tale contesto i leader sindacali avrebbero potuto, ed anzi dovuto, trovare un accordo sulla natura stessa della loro strategia a lungo termine in un’Italia sempre più integrata con il resto dell’economia europea ed internazionale. Su questa tema, cruciale per l’evoluzione delle evoluzioni industriali, i leader sindacali hanno posizioni molto differenti e per non farle esplodere in pubblico (rendendo necessario un confronto) hanno preferito ammantarle di un velo di ambiguità.

Tale manto viene da lontano. Ma – lo mostra proprio il modo in cui è stata sollevata, tardivamente e maldestramente- la “vertenza” - non promette di andare lontano. All’inizio degli Anni Novanta, più o meno mentre di metteva a punto il “patto di San Tommaso”, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, l’Ilo (un’agenzia tecnica dell’Onu dei cui organi di governo fanno parte rappresentanti dei sindacati mondiali, ed italiani) condusse una vasta rassegna delle varie modalità di concertazione e dei loro risultanti in un quadro sempre più caratterizzato da quella che allora veniva chiamata “la globalizzazione”. In sintesi, occorreva distinguere tra due grandi categorie (e numerose sotto-categorie): la concertazione “difensiva” (diretta a “difendere” l’esistente – ed in certi casi a tornare al passato) e la concertazione “positiva” o “aggressiva” (diretta invece a modificare le strutture dell’economia, e della società, in linea con un’integrazione economica internazionale che nessun Paese e nessun sindacato era in grado di modificare). Chiara la preferenza dell’Ilo (generalmente considerata agenzia “di sinistra” nel panorama Onu) per la concertazione “positiva” o “aggressiva”. Non per una posizione di principio od in base ad un ragionamento analitico ma per la constatazione che chi difende l’esistente è (in un mondo in rapido movimento) sempre destinato a soccombere. Nel sindacato italiano ci sono leader che hanno metabolizzato l’esigenza di una concertazione “positiva” o “aggressiva” ma operano in una palude ancorata alla concertazione “difensiva”. Quindi, si preferisce restare nell’ambiguità. Ciò potrà portare qualche vittoria tattica, ma implica una sconfitta di medio periodo per i lavoratori. Che lo hanno compreso e (soprattutto quelli giovani) partecipano sempre meno alla vita sindacale.

Riferimenti

Blanchard O. “A Review of Richard Layard, Stephen Nickell and Richard Jackman’s Unemployment : Macro-Economic Performance and the Labour Market” Journal of Economic Literature June 2007

Barea M. Carenzi A., Cesana G. “Il Welfare in Europa ed i Principali Fattori di Crisi”, Società Editrice Fiorentina, 2005

Boeri T, Brugiavini A. “The Role of the Unions in the Twenty-First Century” Oxford University Press, 2001

Pennisi G. “L’Insostenibile Leggerezza del Mercato del Lavoro”, Rassegna Economica Gennaio-Marzo 1996

Wallentin K. "Earnings Inequality and the Equity Premium" Riksbank Research Paper No. 215 , 2008

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