giovedì 20 dicembre 2007

L’INFLAZIONE E’ PIU’ RISCHIOSA SE I MERCATI SONO AMBIGUI

I rendimenti complessivi dei T-bonds decennali Usa sono scesi a meno del 3,8% l’anno, ossia a poco più di un terzo di un punto percentuale rispetto al tasso di aumento dei prezzi al consumo (3,5% l’anno). Il differenziale potrebbe ridursi ulteriormente in seguito alla decisione della Federal Reserve di ritoccare i tassi di riferimento ed all’intervento coordinato delle maggiori banche centrali per iniettare liquidità nel sistema. I rendimenti dei titoli di Stato a medio termine sono scesi, negli Usa, quattro volte in 35 anni al di sotto del tasso di aumento dei prezzi al consumo: dall’agosto 1973 all’agosto 1975, dal gennaio 1978 all’ottobre 1980, per pochi mesi nel 1981 e per un lasso di tempo ancora più breve nell’ottobre 200-novembre 2005. I primi tre episodi (specialmente i primi due, piuttosto duraturi) si sono verificati in una fase (come l’odierna) di forti e persistenti incrementi dei corsi delle materie prime (petrolio in primo luogo). Il quarto viene, in gran misura, correlato con i danni inferti all’uragano Katrina.
Da un lato, da ciò si può dedurre che siamo in una situazione analoga a quella degli Anni 70, caratterizzata da inflazione sempre più sostenuta e fluttuazioni sempre più significative dei cambi. Da un altro, c’è una novità rispetto ad allora: in seguito alle difficoltà della finanza strutturata con elevate componenti di subprime , nonché alla marcata decelerazione delle valorizzazioni immobiliari (ed in alcuni Stati degli Usa, in Germania ed in Giappone ad una riduzione dei prezzi dei beni al sole), molta liquidità si è riversata verso il mercato del reddito fisso in generale e di quello dei titoli di Stato in particolare; rendimenti reali nulli (od addirittura negativi) potrebbero creare tensioni in altri mercati, segnatamente nell’azionario. Un’analisi di John Campbell dell’Università di Harvard rileva che le tensioni potrebbero durare a lungo: dopo una fase più che decennale in cui l’”equity premium” (tradizionalmente inteso come premio di rischio che si attribuisce dell’azionario rispetto all’obbligazionario) è diminuito, dall’inizio del nuovo secolo sta aumentando progressivamente. Un lavoro del servizio studi del Fondo monetario (Fmi) esamina, con indicatori appropriati, l’andamento dell’”equity premium” in 53 mercati, sia sviluppati sia emergenti. Giunge alla conclusione che il “premio” non riflette solamente l’avversione al rischio (come si ritiene normalmente) ma anche l’avversione all’”ambiguità” dei singoli mercati (o, nelle piazze più avanzate e meglio integrate a livello internazionale, di segmenti di mercati, come potrebbe essere quello connesso all’immobiliare). L’analisi Fmi utilizza indicatori statistici della Banca mondiale per classificare l’”ambiguità istituzionale” (ossia assetti istituzionali poco chiari dei mercati finanziari). Lo studio empirico è stato concluso alcuni mesi fa, dunque, non esamina “l’ambiguità” delle regole che ha caratterizzato la finanza strutturata con alti elementi di subprime . Per analogia, si può dedurre che la trasmissione delle tensioni dall’obbligazionario all’azionario, nel contesto di questi ultimi mesi, potrebbe essere ancora più acuta – non solo Usa- che negli Anni 90.

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