sabato 22 dicembre 2007

L’AMBIGUITA’ DELLE REGOLE FRENA LA CRESCITA

Alla stregua di pugili storditi (dopo una sconfitta), politici della maggioranza ed economisti collaterali ai “Palazzi” si chiedono quali determinanti hanno portato al sorpasso dell’Italia da parte della Spagna in termini di pil pro-capite a parità di potere d’acquisto. Si interrogano anche sul sorpasso prossimo futuro: secondo i vati dell’Eurostat dovrebbe avvenire da parte della Grecia. I più accorti hanno letto (ma chiuso a quattro mandate) un elegante, ma sconfortante, libretto pubblicato dalla Bce a fine novembre (il Working Paper No. 828) in cui con algoritmi e test econometrici si stimano i “potenziali di crescita” di lungo periodo: quello dell’Italia è un misero 1,3% l’anno, inferiore a quelli del Giappone (1,5%), nonché di Francia e Germania (leggermente superiori al 2%), della media dell’area dell’euro (2,2%), di Usa (3,2%), Canada (2,8%) e Gran Bretagna (2,5%). Molte determinanti sono lapalissiane: scarso capitale umano, pessime infrastrutture, pubbliche amministrazione gonfie ed inefficienti, e via discorrendo. Con brio ma non troppo, le responsabilità vengono imputate ai Governi ed alle classi dirigenti precedenti (come se non fossero composte dai personaggi di oggi e dai loro padri, zii, cugini e fratelli maggiori).
Nel buonismo di questi giorni festivi, cerchiamo di essere utili. Per fare una diagnosi corretta, premessa di una terapia efficace, occorre esaminare un aspetto relativamente nuovo, applicato in finanza (ed economia finanziaria) ma poco utilizzato in economia reale (e di politica economica): l’avversione all’ambiguità. Tale avversione spiega, ad esempio, perché l’Italia , con una propensione al risparmio delle famiglie (11% del reddito disponibile) superiore alla media Ocse, investa male (ossia con bassi rendimenti). L’avversione all’ambiguità è la preferenza per un rischio che si conosce rispetto ad un rischio di cui non si sanno i connotati. Induce a ritardare le decisioni (nella speranza di avere maggiori e migliori informazioni) ed a fare scelte non ottimali (nel tentativo di pararsi i fianchi). Un’analisi recente del Fondo monetario (su indicatori di Banca Mondiale) analizza, in 53 Paesi, come l’”avversione all’ambiguità istituzionale” sia uno dei freni maggiori allo sviluppo poiché individui, famiglie ed imprese non sanno quali regole seguire.
L’”ambiguità istituzionale” in senso tecnico di “ambiguità delle regole” caratterizza da anni l’Italia. Si è accentuata nell’ultimo anno e mezzo. I dibattiti inconcludenti sulle leggi elettorali, le privatizzazioni sgangherate a livello nazionale (da manuale di “cosa-non-fare” quella, in atto, di Alitalia) mentre crescono tanti piccoli Iri (e pure Efim) a livello locale, il rincorrersi di contro-riforme in campi che toccano la vita di tutti (mercato del lavoro, previdenza), la percezione di una crescente insicurezza personale (e di inazione in questo campo da parte dei poteri costituiti) nonché di abusi di principi del diritto nel funzionamento di organizzazione come la Rai e la Guardia di Finanza, stordiscono gli italiani grandi e piccoli (individui, famiglie ed imprese), l’avversione all’ambiguità aumenta, la crescita ristagna. Sarà così sino a quando non arriverà un cast capace di infondere il senso di certezza delle regole.

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