giovedì 13 dicembre 2007

LA FINANDANZATA DELLO ZAR

Teatro Massimo Bellini/ Helikon Opera
LA FIDANZATA DELLO ZAR
Opera in quattro atti
Libretto di Nikolaj Rimsky Korsakov e Ilja F. Tjumenev
dal dramma di Lev Mej
Musica di Nikolaj Rimsky Korsakov

Premessa. E’ raro vedere ed ascoltare in Italia opere di Nikolaj Rimsky-Korsakov, nonostante di recente il Teatro dell’Opera di Roma e la Scala abbiano o importato alcune produzioni dalla Russia o realizzato in proprio nuovi allestimenti, a Bologna si sia ascoltata e vista non molto tempo fa “Notte di Maggio” ed il Lirico di Cagliari abbia in programma di inaugurare la stagione con “La leggenda della città invisibile di Kitesh e della vergine Fevronia”.
Rimski-Korsakov è, tuttavia, non solo uno dei maggiori musicisti della Russia a cavallo tra la seconda metà dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, ma anche un anello di congiunzione importante tra la “scuola russa” (il Gruppo dei Cinque) che aspirava alla creazione di un’opera nazionale russa (distinta da quelle italiane, francesi ed in parte tedesche che predominavano sulle scene di Mosca e soprattutto San Pietroburgo) ed il mondo musicale “occidentale”. Inoltre, anche se non sono mancate presenze in Italia (nel corso di tournée e di festival) , la Helikon Opera, teatro interamente privato nato a Mosca circa 18 anni fa, rappresenta un’innovazione importante sulla scena lirica non soltanto russa ma europea in generale. Quindi, questa recensione è divisa in tre parti:a) un breve storia dell’Helikon Opera; b) un’analisi dell’opera in scena a Catania; c) un commento sulla rappresentazione.

L’Helikon Opera di Mosca Mentre i teatri nostrani sono stati alle prese con scioperi per la ripartizione delle sovvenzioni, pochi si sono accorti che dal 5 al 13 dicembre al Teatro Massimo Bellini di Catania (il teatro con la migliore acustica nel nostro Paese) c’è la moscovita Helikon Opera con “La fidanzata dello Zar” di Nicolaj Rimsky-Korsakov , capolavoro che si è visto sulle scene italiane per l’ultima volta 20 anni fa. L’Helikon Opera 18 anni fa ha lanciato una sfida al polveroso Bolshoj. E’ stata ha creata Dmitry Bertman che allora aveva 23 anni (ed è il regista dello spettacolo in scena a Catania), usciva da una scuola di teatro (quella fondata da Stanislasvy) ed era alla ricerca di un’occupazione nella Russia nel caos dell’inizio della transizione dal comunismo a qualcosa-d-altro ancora non ben definito. Cominciò a lavorare in un palazzo diroccato dell’aristocrazia moscovita dei tempi zaristi: la sala non conteneva più di 200 spettatori a cui se ne aggiungeva 70 in una galleria-balconata di fortuna; il palcoscenico era ricavato dal salone da ballo di un edificio che aveva visto tempi migliori. Lo affiancò il direttore d’orchestra Kirill Tikhonov, già allora anziano (classe 1921, morto nel 1998) che ne aveva viste di cotte e di crude durante il comunismo. Misero insieme un cast giovane (ora è una compagnia di 350 persone, orchestra, coro, macchinisti, sarti, scenografi) che con interpretazioni innovative trovava il supporto non solo della biglietteria ma anche di una vasta rete di sponsors: American Express, Ost West Allianz Insurance Co., Ingosstrakh, Renaissance Capital, TOTAL, West LB Bank, Egon Zehnder International, Algorithm Group, United Way Moscow, Sсhwarzkopf, L'Oreal, Hoffman la Roche, Ford, Hewlett Packard, Boehringer Ingelheim, National Reserve Bank, Russian Focus, Volvo Car International, AZR – Zvezda Rusi, Vneshtorgbank, Vash Dosug, Hachette Filipacchi Presse, Eastwood Travel France, Baltchug Kempinski Moscow, Sodis, Motorola, KRKA, ABN AMRO Bank, Panasonic. Gli spettacoli piacevano; quindi, venivano esportati in tournée prima nel resto della Federazione Russa e successivamente in Spagna, Francia, Germania, Irlanda, Canada, Austria, Estonia, Danimarca, Svezia ed anche Nuova Zelanda. Concepiti per un palcoscenico di fortuna, una sala di piccole dimensioni, budget all’osso, gli spettacoli potevano essere trasportati abbastanza facilmente; le trasferte diventarono un veicolo per procacciare quella valuta di cui Helikon Opera aveva un disperato bisogno. In Italia se ne è avuto un assaggio al Ravenna Festival alcuni anni fa ed a Reggio Emilia l’anno scorso. Adesso a Catania non siamo ad un antipasto ma ad una vera e propria –produzione che creata nel 1999 ha già girato in mondo e all’inizio del 2008 viaggerà (se le condizioni politiche non lo impediscono) anche in Libano.
In particolare, l’allestimento della Helikon Opera dell’italianissimo “Nabucco” ha trionfato a Parigi, Digione a San Pietroburgo anche per la capacità di mettere in scena con mezzi limitati uno spettacolo che agli spettatori dava l’impressione di assistere ad un “colossal”. A questo punto, il Comune di Mosca si è mosso: non solo con sovvenzioni per i nuovi allestimenti (il repertorio comprende 70 titoli) ma per assicurare un teatro adeguato. Mantenendo la facciata ed altre caratteristiche immutate il Palazzo Shakhovskoy-Glebov-Streshnevs, sede ormai storica dell’Helikon, è in fase di ristrutturazione: avrà due sale moderne – di 600 e 200 posti – di cui una dedicata alla sperimentazione. La tournée della Helikon Opera in vari Paesi europei avviene proprio mentre il palazzo è un cantiere.
Dalla Russia ci viene, dunque, un messaggio : premiare chi fa bene, non chi razzola male (lasciando l’ente nei guai finanziari), come in Italia si è fatto con la legge finanziaria in corso di approvazione. E’ una lezione che merita di essere assimilata da chi ha responsabilità per le arti dal vivo in generale e per l’opera lirica in particolare.

La fidanzata dello Zar Non è privo di significato politico, oltre che musicale, il labvoro di Rimsky Korsakov che l’Helikon Opera porta nella tournée europea che in Italia fa tappa per sette repliche a Catania. “La fidanzata dello zar” (un titolo preso dalla traduzione in francese effettuata negli Anni Trenta mentre la traduzione letterale di Tsarskaya Nevesta, più vicina alla vicenda ed allo spirito del lavoro dovrebbe essere “Una sposa per lo zar”, come è d’altronde prassi nelle versioni ritmiche tedesche ed inglesi) non è una crudele satira del potere assoluto come lo sarebbe stato l’ultima opera (“Il gallo d’oro”) di Rimsky Korsakov composta del 1906-7 dopo la disfatta della flotta zarista nella guerra russo giapponese; allora, il compositore era già stato allontanato dal Conservatorio e era tenuto sotto stretta sorveglianza dalla polizia segreta. “La fidanzata dello zar” risale al 1897-98 quando, dopo una fase dedicata specialmente a lavori a carattere fantastico basati su antiche legge russe (quali la deliziosa “Fanciulla di neve” che credo non si rappresenti in Italia dal lontano 1954), l’interesse dell’autore si rivolgeva all’indagine psicologica dei personaggi ed al lirismo, più che alla drammaticità dell’azione scenica.. Diminuisce l’attenzione (centrale nei lavori precedenti) ai richiami a musica popolare russa, ove non regionale-etnica. Si avvertono influenze di Verdi (molto apprezzato alla Corte Imperiale su commissione della quale aveva realizzato “La Forza del Destino”) nonché di Wagner le cui teorie e soprattutto la cui musica avevano cominciato a diffondersi nel mondo slavo. Non mancano “canzoni”(quale quella di Lubasha, amante di un ricco commerciante Grigori desideroso, invece, di portarsi sotto le lenzuola la protagonista, Marfa, di cui naturalmente Lubasha è rivale) ma il procedimento di fondo è quello di alternare numeri chiusi con lunghe scene senza intervallo sostenute da sinfonismo continuo. I recitativi sono brevi ed essenziali. Un procedimento, per molti aspetti, distante dal declamato (alternato da numeri musicali) che aveva contraddistinto la “scuola russa” ma non ancora intriso di cultura musicale occidentale come “Eugenio Oneghin” o “La Dama di Picche” di. Peter I. Ciajkovskij.
L’intreccio, tratto da un complicato dramma di Lev Mej (molto popolare nei teatri dell’Impero russo) è un intrigo di amori, tradimenti, veleni e politica al cui centro c’è la decisione di Ivan il Terribile (appare una sola volta in scena senza, però, pronunciare neanche una parola) di scegliere moglie tra 2.000 tra le più belle ragazze russe. Ciò è un dramma per una coppia di giovani innamorati, Marfa e Lykov (il ragazzo viene condannato a morte in base a calunnie lanciata da Grigori, la ragazza avvelenata, per di più per errore, da Lubasha che ha ottenuto il filtro dal medico russo di Ivan il Terribile). Marfa e la sua amica Duniasha sono finaliste (tra 12 delle 2000 fanciulle) per essere scelta come moglie dello zar. Diventata Zarina scatta la tragedia, che include pure una grandiosa “scena della pazzia”, la morte di Marfa, l’assassinio di Lubasha da parte di Grigori e la confessione delle sue colpe da parte di costui.
Il contrasto tra l’universo profondamente lirico della grande madre Russia (di cui i due innamorati ed il padre di Mafra, Sobakin, sono espressione) ed il potere corrotto (con tutti i suoi addentellati nella folla di personaggio dell’opera) è l’elemento centrale del lavoro. Tuttavia, dagli scritti di Rimski-Korakov si ricava che non è questo contrasto (il fulcro del drammone di Mej) ad essere al centro dei suoi interessi quanto le “situazioni liriche” (più di quelle drammatiche) che offre il libretto e l’evoluzione psicologica dei personaggi, specialmente Grigori e Lubasha, nonché la progressiva follia di Marfa. In tal senso, il lavoro è rivolto più al passato (al creatore dell’opera russa Glinka) che al futuro , alle costruzioni impervie che un paio di decenni più tardi avrebbero edificato Prokofiev e Shostakovic. Composto nello stesso anno di “Iris” di Pietro Mascagni, nel più vasto panorama europeo indica come la Russia fosse ancora distante dalle tendenze più innovative della musica occidentale.
Quanto venne apprezzato il lavoro alla fine dell’Ottocento? Nell’autunno 1899, la “prima” mondiale non avvenne al Bolshoj ma al piccolo teatro dell’opera costruito a Mosca, a proprie spese, dal magnate ferroviario Mamontov, appassionato di lirica. Il successo fu strepitoso, ma ciò non deve essere stato gradito ai poteri costituiti dell’epoca; in effetti pochi anni prima della rivoluzione di febbraio e della sconfitta da parte del Giappone, l’opera suonava come un monito che l’autocrazia senza briglie può trasformare passione in distruzione e terrore. L’anno seguente, per la stagione della Pasqua 1900, l’opera arrivò a San Pietroburgo, ma non gli vennero spalancate le porte del Mariinskji , il grande teatro imperiale. Venne messa in scena da una compagnia privata nel piccolo Teatro Panaev. Vennero operati tagli (quali il sestetto del terzo atto) che irritarono molto Rimsky- Korsakov (nonostante il buon esito di pubblico e di critica che ebbe la produzione). I tagli vennero motivati dalle ristrettezze del teatro che impedivano un lungo periodo di prove.
In Italia “La fidanzata dello zar” (con il titolo alla francese) è stata rappresentata raramente: nel 1932 nel corso di una tournée della “Compagnia d’Opera Russa di Parigi” (un complesso formato da emigrati dalla dittatura comunista) al Teatro Quirino di Roma e nel 1987 (intitolata “La sposa dello zar”, non “per lo zar”) in una produzione della Washington National Opera al Teatro dell’Opera di Roma (la direzione musicale era affidata a Mstislav Rostropovic e la regia a sua moglie Galina Visneckaja, ambedue fuggiti dall’oppressione sovietica). L’allestimento del 1987 (scene e costumi di Zack Brown) era davvero spettacolare : utilizzava tutte le opportunità offerte dal moderno palcoscenico del teatro della capitale Usa (ed a Roma si ebbero difficoltà a riprodurlo tale e quale). Quello al Teatro Quirino (una sala per la prosa non adatta alla lirica) deve essere molto semplice, con un organico all’osso e scene e costumi “portatili” (come si addiceva ad una compagnia di émigrés che si guadagnava il pane girando per l’Europa). C’è stata anche un’esecuzione radiofonica a cura dei complessi della Rai.
Nel suo saggio fondamentale sull’opera russa pubblicato dalla Ute nel 1977, Carlo Marinelli sottolinea la dimensione politica che anima un topos pur tradizionale della letteratura, e della musica, ottocentesca: il matrimonio tra due giovani che “non s’ha da fare” a ragione di cieca gelosia, prepotenza ed insana passione erotica da parte di un potente. “E’ il capo d’opera – scrive Marinelli- di Rimsky-Korsakov, anche se non necessariamente il suo capolavoro”. Un musicologo russo, Valeri Voskobojnikov, mette correttamente in risalto “il variopinto e importante ruolo dell’orchestra”.

La produzione. Si tratta di una co-produzione Helikon- Massimo Bellini nel senso che scene, costumi, luci, regia, cantanti e direttore musicale vengono da Mosca mentre l’orchestra ed il coro sino dello stabile catanese. In primo luogo, lo spettacolo non è, e non vuole essere, una versione filologica integrale. I tagli sono maggiori di quelli effettuati al Teatro Tanaev di San Pietroburgo. Li comporta la regia di Bertman che vuole dare un afflato shakespeariano ed un ritmo incalzante al lavoro, portato a due ore di musica (dalle due ore e mezza della versione in disco Philipps con la direzione musicale di Valery Geergev) e reso, per molto aspetti attuale, pur mantenendo un impianto scenico e costumi cinquecenteschi. E’ reso attuale dal ruolo che hanno sesso ed eros nella messa in scena (impensabili nella Russia di fine Ottocento). I tentativi di Lubasha di riconquistare Grigory e di sedurre il medico Bomelius (per ottenerne filtri d’amore e veleni) sono fortemente erotici (anche se evitano i nudi integrali ora frequenti nelle regie d’opera in Germania e Spagna). Inoltre il trattamento psicologico della progressiva follia di Marfa riflette conoscenza della moderna psicoanalisi (nei suoi trattamenti teatrali). Straordinaria la recitazione da parte della squadra di cantanti-attori. Curata nei minimi particolari supplisce egregiamente ad un allestimento scenico effettuato con mezzi molto limitati, ma ciò nonostante, funzionale ed efficace.
L’opera si svolge in una varietà di ambienti (feste in palazzi di Bojardi, strade nei sobborghi di Mosca, case di ricchi commercianti, la reggia di Ivan il Terribile). Tutto ciò viene rappresentato in un impianto unico: due archi, un fondale nero, un minimo di attrezzeria (una cassa panca che funge da letto, da cassaforte e così via), alcune sedie. E’ per un piccolo palcoscenico come quello moscovita dell’Helikon e lo si è dovuto adattare a quello, non certo grande, del Massimo Bellini. I personaggi emergono quasi dall’ombra vestiti di nero e di oro, con cui contrasta il mantello rosso fuoco di Mafra una volta diventata Zarina. L’allestimento dimostra ancora una volta come le idee sono più importanti dei mezzi finanziari per realizzare uno spettacolo avvincente.
Ho contezza di due direzioni musicali molto differenti (ambedue integrali): quella delicata quasi camerista di Rostropovic e quella infuocata di Geergev. Brazhnik, noto in Patria (ed anche negli Usa, in Germania ed in Francia) è più prossimo a Geergev , anche per essere in linea con la regia di Bertman. L’orchestrazione è smagliante (una caratteristica di Rimsky-Korsakov) e l’orchestra del Massimo, guidata da Brazhnik ha dato il meglio di se stessa –specialmente il gruppo dei fiati ed i violoncelli. Hanno evidentemente fatto prove con passione.
Le voci si stagliano in due gruppi distinti: la giovane coppia di innamorati (ed il piccolo mondo che li circonda) e l’universo del potere e della corruzione. Ekaterina Trebeleva e Dmitri Ponomarev sono rispettivamente un soprano lirico puro ed un tenore lirico puro. Giovani (come il resto della compagnia) hanno un timbro chiaro, un’emissione precisa, un buon registro; eccellono nei duetti e la Trebeleva nella lunga scena della pazzia dove deve toccare anche tratti di coloratura (un cenno dell’influenza dell’opera italiana in Russia, più che un pedaggio pagato ad essa). Alla coppia “innocente” si giustappone quella peccaminosa (e libidinosa) di Petr Morazov (Grigori) e Ksenia Viaznikova (Lubasha). Il primo è un baritono dotato di notevole agilità (in un ruolo che ha, inoltre, un complesso sviluppo psicologico); le seconda un mezzo-soprano che nella canzone del primo atto e nella scena di seduzione del secondo giunge a tonalità gravi da contralto. A queste due coppie di protagonisti si aggiungono numerosi personaggi secondari , ciascuno dei quali ha, tuttavia, momenti vocali di rilievo: il basso Alexei Tikhomirov (con timbro molto profondo) nella dolente figura del padre di Marfa, il bari-tenore Dmitry Khromov nel subdolo ruolo del medico tedesco, il contralto Ekaterina Oblezova in quello dell’amica più vicina a Marfa. E così via . Un cast affiatato che mostra di lavorare insieme da anni.

Un’ultima notazione. Ho assistito al turno per le scuole, attorniato da studenti delle secondarie superiori venuti da tutta la Provincia. Ciascuno disponeva di un sunto e della locandina di un’opera, per loro certamente una novità assoluta. Hanno seguito con interesse ed applaudito di cuore.

Quando qualche Sovrintendente avrà il coraggio di riproporre capolavori come “La fanciulla di neve” e “Sadko”?

Catania Teatro Massimo Bellini, 6 dicembre
Giuseppe Pennisi


Nikolay Andreyevich Rimsky-Korsakov
:
La fidanzata dello Zar



Direzione musicale
Regia
Evgeny Brazhnik
Dmtri Bertman

Scene
Igor Nezhny
Costumi
Tatiana Tulubieva
Luci
Denis Enyukov
Maestro di coro
Tiziana Carlini

~
Grigory Griasnoy
Petr Morozov
Lubasha
Ksenia Viaznikova
Marfa
Ekaterina Trebeleva
Lykov
Dmitri Ponomarev /
Bomelius
Mikhail Serychev
Duniasha
Ekaterina Oblezova
Sobakin
Alexei Tikhomirov
Maluta Skuratov
Andrei Serov
Saburova
Maria Maskhulia
Campanaro
Valere Kirianov
Orchestra e Coro del Teatro Massimo Bellini di Catania.

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