martedì 6 novembre 2007

Stoccolma - Teatro Reale dell’Opera: La Traviata

C’è un nesso molto forte tra l’edizione de “La Traviata” (coprodotta dal Regio di Parma con i teatri di Bruxelles,Dűsserdolf e Duisburg), appena vista ed ascoltata, al Festival Verdi e il nuovo allestimento in scena al Teatro Reale dell’Opera di Stoccolma (gioiello neorinascimentale, disteso dove il Baltico incontra il Lago Mälaren in uno dei punti più spettacolari della capitale svedese): l’atmosfera di forte violenza interiore (e nella messa in scena di Stoccolma anche esteriore). A Parma la regia era dei coniugi Herrmann noti, anzi notori, per messe in scene e regie dissacranti: ricordiamo la clamorosa litigata di Salisburgo, con Riccardo Muti che si rifiutò di prendere la bacchetta se la coppia avesse diretto l’azione teatrale. L’allestimento dei coniugi Herrmann, pur seguendo scrupolosamente le “indicazioni sceniche” di Verdi, situa la vicenda d’amore e di morte della cortigiana di lusso Violetta e del giovanotto di provincia Alfredo in un clima che ricorda più Balzac e Beaudelaire che Dumas figlio: è trasgressiva, esplicita e rude. Nessun dettaglio è banale. Fa discutere (troppi movimenti e rumori di scena nel primo atto), ma è piaciuta al pubblico di Parma (credo che il 25% fossero stranieri) che alla prima l’ha salutata con ovazioni.Venendo a noi, Kasper Bech Holten, autore della messa in scena a Stoccolma, è invece un enfant prodige scandinavo che, a meno di 34 anni, ha collezionato oltre quaranta regie liriche e drammatiche che hanno avuto una notevole eco in Europa del Nord, in Gran Bretagna e negli Usa. Per l’occasione il libretto resta intatto ma l’opera è divisa in due parti, con l’intervallo inserito a metà del secondo atto quando, stando alle indicazioni esatte del libretto, la scena si sposta dalla casa di campagna, alla festa di Parigi.La vicenda si svolge in una grande città europea o americana ai giorni nostri. Sin dal preludio proiezioni elettroniche mostrano una skyline di grattacieli analoga a quelle di New York o Chicago; in breve una foresta pietrificata dove dominano il nero ed il grigio con l’eccezione di un piano le cui finestre, quasi in cima ad una delle torri, sono illuminate. E’ l’ambiente dove si svolge la festa del primo atto, un “Gentlemen´s Club” di lusso – più ardito di un “Gaslight Club” o di un “Playboy Club” perché vi si fornica e vi si sniffa. Violetta si prostituisce (la sua amica Flora è la tenutaria), Alfredo è un cliente che viene da una cittadina di provincia e si innamora di lei. Nella seconda scena, non siamo in campagna ma in un albergo (nella stanza 709) ipertecnologico in cui troneggia un immenso letto disfatto. Dopo l’intervello, la festa “chez Flora” è una vera e propria orgia con simulazioni esplicite di una vasta gamma di posizioni erotiche principalmente etero-sessuali (Gastone, che ha portato Alfredo al bordello nella prima scena, si esibisce in un repertorio hardcore con alcune “invitate”) ma anche saffiche. Nella scena finale, Violetta non muore – come da copione – nella propria casa ormai disadorna ma per strada (tra una gioielleria ed un negozio di pelletteria di lusso) dove si è ormai ridotta a vivere come una barbona in compagnia di Annina; il Dr. Grenville le dà un po’ di “polvere”; Alfredo, alla sua morte per overdose (oltre che per tisi) si allontana, insieme al padre, scappando per non essere trovato sul luogo. Nel proprio epistolario – ricordiamolo – Verdi chiama Violetta “puttana”. E tale è nella lettura, senza dubbio interessante (anche grazie alla capacità di recitazione di tutta la compagnia) fattane da Kasper Bech Holten. A confronto dell’edizione presentata a Parma poche settimane fa (chiamata “porno-traviata” nel titolo della recensione de “Il Sole-24 Ore”) questa e´ una “Traviata” hardcore. Efficacissima, però, sia nel rendere lo spirito dissacrante con cui Verdi, nel 1853, concepì l´opera sia nell’attirare pubblico giovane al Teatro Reale di Stoccolma (ed a far sì che altri teatri, anche statunitensi, pensino di importarla nel 2008). In linea con tale regia, Pier Giorgio Morandi avvolge di un colore cupo la vicenda scenica, sin dalle prime battute. Ne sottolinea quelle anticipazioni del Novecento che si avvertono in certi momenti della partitura.Il Teatro Reale di Stoccolma, ricordiamolo, siamo in un ente lirico che fa repertorio, ha una compagnia stabile, prezzi dei biglietti piuttosto contenuti ed un pubblico relativamente giovane. Quindi, ci si può aspettare una vocalità non del livello offerto presso altri importanti teatri europei.Tuttavia, questa ”Traviata” riserva una sorpresa: Jonas Degerfeldt nel ruolo di Alfredo. Ha un timbro chiaro, una dizione italiana perfetta, un legato languido ed una forte capacità interpretativa: nella seconda scena (primo quadro del secondo atto nelle versioni tradizionali) riesce a cantare la “cabaletta” a chiusura de I miei bollenti spiriti, nonostante le indicazioni della regia lo obblighino a vestirsi e quindi assumere una posizione poco felice per il canto.In linea con la regia, è un Alfredo differente dalle letture più frequenti: si innamora della “donna di vita” con il trasporto del provinciale che dal bordello vorrebbe andare all’altare, ma gli resta un fondo cinico, che mette in evidenzia nel finale, quando scappa di fronte al corpo morto di Violetta. E’ un tenore lirico puro, a tutto tondo, per il quale posso azzardare una futura carriera internazionale.Accanto a lui, Maria Fontosh, pur applauditissima dal pubblico svedese, è una Violetta che deve ancora maturare. E´ attraente – tanto quanto lo è Jonas Degerfeldt, ma giovane e minuta; sembra più una Lolita che una prostituta di lusso con anni di esperienza. E’ un soprano lirico costretto a spingere eccessivamente, soprattutto quando il pentagramma la costringe a salire – ci risparmia il sovracuto in “Sempre libera” – ma è in serie difficoltà anche su alcune note gravi che preferisce scansare. Inoltre, il suo vibrato stretto è piuttosto fastidioso.Il ruolo di Giorgio Germont è affidato ad Anders Larsson, bel giovane anzi troppo giovane per essere padre di Alfredo; un buon baritono anche se un tantino monocorde.Buono il vasto numero di caratteristi, specialmente Il Gastone di Urlik Quale, a cui la regia chiede di mimare le pose più ardite.Grande successo (nonostante il grande numero di repliche, una ventina nel 2007 e la probabile ripresa la prossima stagione).
Giuseppe Pennisi
La locandina
Data dello spettacolo: 31/10/2007


Violetta Valéry
Maria Fontosh


Flora Bervoix
Agneta Lundgren


Annina giovane
Katharina Böhm


Annina anziana
Monica Mannerstrõm


Alfredo Germont
Jonas Degerfeldt


Giorgio Germont
Anders Larsson


Gastone
Urilk Qvale


Barone
Magnus Lindén


Marchese
Lennart Forsén


Dottor Grenville
Michael Schimdberger


Un cameriere
Thomas Amno


Un commissario
Tomas Bergström


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Scene e costumi
Steffen Aarfing


Luci
Jesper Kongshaug


Coreografia
Marie-Louis Sid-Sylwander


Regia
Kasper Bech Holten


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Direzione musicale: Pier Giorgio Morandi

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