venerdì 17 agosto 2007

Romano Prodi, Bankitalia e l'oro che non c'è

Le nostre nonne e bisnonne ricordano “L’oro alla Patria” – cerimonie di grande emozione in cui cedevano allo Stato (con la S maiuscola) anche le fedi nuziali per contribuire allo sforzo bellico della prima e della seconda guerra mondiale. Senza molto pathos, la sinistra reazionaria è riuscita, nelle ultime ore di operatività del Parlamento, a fare inserire nella risoluzione di maggioranza di approvazione del Dpef una clausola che potrebbe chiamasi “Oro alla Triplice”. In sostanza, si proponeva non di cedere oro per rimpinguare le casse della triplice sindacale (una recente inchiesta del settimanale “Panorama” afferma che il loro stato patrimoniale è molto florido ed il loro flusso di cassa presenta un lauto margine operative loro) ma di utilizzare il “sovrappiù” dell’oro custodito tra le riserve della Banca d’Italia (un nuovo “tesoretto”) allo scopo di finanziare il Protocollo sul Welfare del 23 luglio (e semmai anche qualcosa di più tra le tante richieste della Triplice, vero azionista di riferimento dell’Esecutivo).
La notizia del giorno, che sorprende di più, è che dai luoghi di villeggiatura toscani il presidente del Consiglio abbia fatto propria la proposta, pur se in una versione riveduta e corretta. Il premier non nega la validità della proposta di utilizzare le riserve auree della Banca d'Italia per ridurre, almeno in parte, il pesante fardello del debito pubblico italiano. Una iniziativa di questo genere deve essere esaminata sotto il profilo sia tecnico sia politico. La proposta originaria – è importante notarlo – emanava dallo schieramento parlamentare di centro-sinistra non dal Governo: tanto che alcuni esponenti (come Laberto Dini) si sono apertamente dissociati tramite il quotidiano prodiano “La Repubblica”. L’Ue ed il Fondo monetario e la stessa Bankitalia hanno utilizzato termini eleganti per dare all’idea, in sostanza, del cervellotico. La proposta è, al tempo stesso, dannosa e rivelatrice.
Dal punto di vista tecnico, un accordo internazionale limita a 500 tonnellate annue per cinque anni (sino a settembre 2009) la quantità di oro vendibile tra le 15 banche europee che lo hanno sottoscritto. Già 345 dei lingotti di Bankitalia sono prenotati da altri istituti; ne restano 155, meno di 2,5 miliardi l’anno in valore – per avere un raffronto meno del costo del contratto con gli statali. Quindi, una goccia nel mare di richieste (25 miliardi di spese aggiuntive) che al 31 luglio, dicasteri grandi e piccoli avevano inoltrato a Palazzo Chigi per la prossima finanziaria (e che comporterebbero una manovra di pari dimensioni senza incidere sulla crescita).Più interessante, ma di cui il Governo potrebbe soltanto farsi promotore, una proposta eterodossa, redatta dal più ortodosso dei pensatoi: l’Istituto Affari Internazionali (Iai), fondato dal federalista Altiero Spinelli, il cui Presidente onorario è Carlo Azeglio Ciampi e nei cui organi di governo siede il ministro dell’Economia e delle Finanze, Tomaso Padoa-Schioppa. Argomentata in un centinaio di paginette dense di considerazioni economiche e giuridiche (corredate dai dati quantitativi essenziali), la proposta consiste nel permettere all’Ue in quanto tale (il cui bilancio è pari solo all’1,048% del pil comunitario) di indebitarsi (emettendo titoli sul mercato dei capitali internazionali) al fine di lanciare un piano di spesa addizionale per lo sviluppo (reti transeuropee, energia, ricerca) che nei prossimi cinque o sei anni permetta di spendere tra i 500 ed i 700 miliardi di euro ad integrazione delle risorse nazionali, pubbliche e private.La proposta ha precedenti storici ed è stata attuata con successo dalla Ceca (la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio). Non sarebbe inflazionistica in quanto l’Europa soffre di capacità di produzione non utilizzata (come dimostrato dai tassi di disoccupazione). Non spiazza titoli pubblici o di imprese. Ha soprattutto il vantaggio della semplicità: non richiede complicate strutture organizzative e decine di indicatori, come contemplato nella “strategia di Lisbona”. Ha, però, un serio ostacolo giuridico: il vincolo del pareggio annuale del bilancio comunitario, inserito nel Trattato di Roma quando si pensava che tale bilancio servisse esclusivamente o quasi a finanziare spese di parte corrente (come stipendi e altri oneri di funzionamento delle istituzioni). Lo si può correggere nel nuovo, e semplificato, Trattato Costituzionale, facendo contenti tutti (da Sarkozy alla Merkel passando per Trichet e Barroso). Gli Euro-bonds (chiamamoli così) sarebbero più efficienti e più efficaci dell’oro di Roma (che non c’è). Ma non sarebbero in alcun modo disponibili per la prossima finanziaria.Il fatto stesso che parte della maggioranza parlamentare su cui si regge, barcollando, il Governo abbia pensato di vendere ciò di cui Bankitalia non dispone – un po’ come in “Totò cerca casa”- dimostra come la politica economica, non solo sia “pasticciona” (per riallacciarsi all’analisi fatta da Giuliano Amato in un libro di 30 anni fa) ma ormai arrivata al capolinea. Autorevoli componenti della maggioranza affermano, in privato, che è meglio non parlare più della risoluzione sul Dpef e della proposta relativa all’oro di Palazzo Koch. Invece, è bene che se ne parli nelle spiagge ai monti per dare contezza che al capolinea della politica economica devono scendere tutti, in primo luogo il conducente.
08 Agosto 2007 Commenti (1) Commenta Email Condividi

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