mercoledì 29 agosto 2007

LA CRISI DELLE BORSE E LA POLITICA DELLA BCE

Il 6 settembre si riunisce il Consiglio della Banca centrale europea (Bce). Il 18, il Comitato per le operazioni sul mercato aperto , organo di governo della Federal Riserve (Usa). Mentre si avvicinano queste due scadenze, cresce il grido di dolore per un ritocco all’ingiù dei tassi d’interesse – o almeno una pausa nella strategia di aumenti graduali in corso da mesi. Particolarmente duro un attacco all’intera politica monetaria americana negli anni i cui Greespan era al timone della Fed sferrato in un’analisi de www.lavoce.info ripresa con grande rilievo da alcune testate nazionali di informazione punta il dito. Anticipa critiche analoghe nei confronti della Bce e di rappresenta l’Italia in seno al Consiglio di quest’ultima: il Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi. Greespan e Draghi non hanno certo bisogno di difensori di ufficio. Men che meno da un foglio web di orientamento quotidiano come il nostro. Tuttavia, è importante chiarire alcuni aspetti essenziali della crisi dei Cdo ((Colleteralized debt obligations – prodotti derivati di cui i mutui inesigibili sono , in varia misura, una componente). in quanto i colpi (a salva) nei confronti di chi ha responsabilità della politica della moneta, possono avere un obiettivo differente: coprire responsabilità politiche ben più gravi.
L’ex-Presidente della Federal Riserve Alan Greenspan ha una responsabilità specifica: il discorso del 23 gennaio 2004 alle casse di risparmio (istituzioni tra le più coinvolte nei mutui) in cui le invitava ad avere più fantasia. Accortosi che l’invito portava ad eccessi, lo stesso Greenspan, nell’autunno 2005, raccomandò di andarci piano: si profilava già la crisi che sarebbe scoppiata questa estate.
Prima di venire a fatti più vicini a casa nostra è utile chiarire alcuni punti anche sulla base dell’esperienza di avere passato oltre tre lustri a Washington in anni di forte espansione della spesa pubblica e del deficit conti con l’estero Usa nonché del tracollo del sistema monetario e finanziario definito nel 1944 a Bretton Woods.
In primo luogo, non c’è dubbio che la determinante primaria delle disfunzioni della finanza internazionale (e non solo) è il disavanzo della bilancia delle partite correnti Usa (800 miliardi di dollari , ed in continua crescita): le crisi dei subprime è un tassello di queste disfunzioni. A sua volta, l’enorme deficit dei conti con l’estero Usa ha le sue radici nella politica economica condotta (nonostante i cambi di Presidenza alla Casa Bianca e di maggioranze in Congresso) con estrema linearità bipartisan all’insegna di quello che un tempo si chiamava benign neglect (“me ne infischio del resto del mondo”). Negli Usa (come altrove), la politica economica ha tre componenti: a) la politica della moneta; b) la politica di bilancio e c) la politica dei prezzi e dei redditi. La terza (con l’eccezione di pochi comportati di competenza federale) è quasi interamente sotto il controllo dei singoli Stati dell’Unione. La politica di bilancio – molti europei hanno difficoltà a metabolizzarlo – nasce (e finisce) nel Congresso (in gran misura in seno alla Commissione Finanze e Tesoro della Camera): la Casa Bianca non presenta qualcosa di analogo alla finanziaria italiana, alla loi des finances francese, al budget britannico, ma il Presidente può apporre il proprio veto al bilancio confezionato dal Congresso, il quale, a sua volta, può respingerlo a maggioranza qualificata. L’origine principale del disavanzo dei conti con l’estero e delle sue disfunzioni (tra cui i Cdo con subprime) è nell’enorme avanzata della spesa federale (approvata da ambedue gli schieramenti presenti in Congresso) non compensata da un aumento delle entrate fiscali (di cui nessuno ambisce gloriarsi di fronte agli elettori).
Una politica monetaria restrittiva (invece che “accomodante” specialmente dopo l’11 settembre 2001) avrebbe risolto il nodo di fondo? Ne dubito non tanto perché lo dicono modelli econometrici indipendenti – come il LINK creato da Nobel Lawrence Klein- ma perché l’esperienza di parte degli Anni 70 fu che una strategia del genere condusse alla stagflazione negli Usa. Con implicazioni che per l’Europa del primo scorcio di questo secolo sarebbero state gravissime. Anche ove Greespan avesse voluto imporla, ci sarebbe riuscito data la struttura federale della Fed? Ne dubito viste le esigenze di crescita soprattutto dopo l’11 settembre 2001 e sapendo quanto le Banche Federali di Riserva sanno far sentire la propria voce nelle riunioni del Comitato per le Operazioni sul Mercato Aperto (come quella in programma il 18 settembre).
Veniamo ora ai fatti europei e nostrani. In primo luogo, dal 2001 la Bce ha tenuto una politica monetaria espansiva che ha comportato tassi d’interesse reali inferiori a quello che , in termini tecnici, viene chiamato il tasso d’interesse sui consumi (stimato sul 2,5% per un Paese maturo come l’Italia). Lo ha fatto nel contesto di una vasta espansione della liquidità a livello mondiale – come dimostrato dalle forti eccedenze delle bilance dei pagamenti dei Paesi esportatori di petrolio, della Cina e molti altri Paesi emergenti. Un’ampia liquidità a livello macro non vuole necessariamente dice che ci sia anche a livello micro: Kevin Warsh, a lungo Governatore della Fed, sottolinea che a livello micro la liquidità dipende più dalla fiducia , dall’elemento rischio che dalla disponibilità di mezzi. E’ quanto si è verificato a ragione del pasticciaccio brutto del subprime. Nuova immissione di liquidità potrebbe avere effetti solo di breve periodo, se – come si diceva un tempo – “il cavallo non beve”.
In Italia, l’intervento pubblico “impiccione” e “pasticcione” ha aggravato qualsiasi crisi di fiducia importata a ragione dei Cdo. Inoltre, la politica dei prezzi e dei redditi e la politica di bilancio si muovono in maniera apposta alla politica delle moneta. Per i prezzi amministrati è stata annunciata una stangata per settembre. I redditi delle famiglie a livello medio vengono invitate a fuggire dagli strumenti normali di risparmio (ed a rifugiarsi in operazioni tipo Cdo) dalle minacce di nuove tasse sui redditi da capitale. La politica di bilancio continua ad essere un colabrodo (nonostante il buon andamento delle entrate che risente ancora delle misure approvate la precedente legislatura).
Prima di sparare sulle autorità monetarie, metta un po’ d’ordine in materia di prezzi, redditi e bilancio e dell’accavallarsi di authority.

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