venerdì 17 agosto 2007

I DERIVATI DEL CALCIO MERCATO

Il calcio – pochi ne sono consapevoli – è , nel settore dei servizi, uno dei comparti maggiormente globalizzati sia sotto il profilo della produzione e prestazione di attività sia sotto quello del mercato del lavoro. Secondo il blog di David Altman (il cui titolo “managing-globalization” è di per sé tutto un programma), soltanto i servizi finanziarie (banche, assicurazione, gestione del risparmio) hanno un grado di integrazione economica internazionale superiore a quello del calcio. E’ tema su cui riflettere facendo i consuntivi della stagione di calcio mercato che come ogni anno si chiude in queste settimane.
E’ noto che i calciatori possono rappresentare una fonte importante di proventi per la bilancia dei pagamenti dei Paesi che li cedono (specialmente se si tratta di Paesi in via di sviluppo). Secondo il quotidiano “Clarin” di Buenos Aires, gli accordi per la cessione dei loro 10 giocatori di maggior prestigio ha reso, questa stagione di calcio mercato, l’equivalente di 99 milioni di dollari Usa (ossia di 70 milioni di euro). Questa cifra è pari all’1% dell’eximport del Paese- un dato di tutto rispetto sotto il profilo macro-economico. Sotto il profilo del comparto specifico, equivale al doppio di quanto tutte le squadre di calcio dell’Argentina ottengono per la cessione di un anno di diritti televisivi. Secondo un’inchiesta pubblicata dall’”International Herald Tribune”, quando una squadra africana cede uno o più giocatori ad una squadra europea, la transazione finanziaria equivale od un anno di stipendio dei calciatori di tutta la squadra ed in certi casi di tutto il campionato (del Paese che cede).
Le quotazioni aumentano non soltanto perché il mercato è, per così dire, “lievitato” (nonostante i tentativi di imporre calmieri e massimali) ma anche e soprattutto perché vi sono entrati nuovi soggetti, a cui non fa difetto liquidità. Ad esempio, uno dei più promettenti giocatori argentini non è partito alla volta dell’Europa ma è andato a dare man forte alla squadra Al Saad del Qatar, ad un prezzo di 22 milioni di dollari (18 milioni di euro) per i suoi servigi. Analogamente, all’inizio di agosto l’ucraina Shakhtar Donetsk avrebbe pagato 20 milioni di dollari (16 milioni di euro) per il centrocampista messicano Nery Castello. Per giungere a lande più vicine a noi, il Mancheste United ha scucito una somma imprecisata, ma elevatissima, per Rhain Davis, un australiano di appena 9 anni che ha visto giocare soltanto in un DvD.
Agli alti prezzi corrispondono non soltanto alti rischi (che si stimano facendo ricorso al calcolo delle probabilità) ma anche incertezza – ossia l’impossibilità di prevedere quali saranno gli esiti del contratto. La formazione è aspetto chiave nella crescita di un giocatore (specialmente se lo si ingaggia all’età di 9 anni); che fare se, una volta formato, va verso altri lidi (anche dopo avere sborsato pesanti penali)? Oppure, il giocatore può non funzionare efficacemente nel nuovo ambiente: Oppure ancora, mutare stile di vita, con implicazioni negative sulle sua prestazioni professionali.
Qui entrano i gioco i derivati. Se “call options” vengono utilizzate da un paio di anni per vendere abbonamenti pluriennali a Festival internazionali come quelli di Aix-en-Provence e Salisburgo, è del tutto normale che entrino nei contratti del calcio-mercato. Molto vicino ad un contratto articolato su “opzioni” è quello, concluso a metà estate, tra Major League Soccer e Benfica del Portogallo per il goleador afro-americano Freddy Adu. Se Benfica esercita l’opzione (prevista nell’accordo) di cedere, successivamente, il contratto a terzi, dovrà pagare una penale da capogiro a Major Leaugue Soccer. Un primo passo verso un nuovo mercato di calcio e finanza.

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