giovedì 19 luglio 2007

ROMA RICORDA GIGLI

Per i 50 anni dalla scomparsa di Beniamino Gigli, il Teatro dell’Opera di Roma (dove il tenore di Recanati si è esibito in ben 99 ruoli e circa 400 recite dal 1916 al 1953) ha organizzato una serata particolare: un recital di tre voci giovani ma già molto affermate, accompagnate da pianoforte alle Terme di Caracalla. Le voci erano Rolando Villazòn, Nathalie Manfrino e Franco Vassallo. Il piano era affidato a Ángel Rodríguez. I critici più schizzinosi non possono non storcere il naso di fronte fatto che per un recital che sarebbe stato perfetto in un sala di 200-300 posti con un’acustica perfetta, siano state scelte le rovine romane in cui , da qualche anno, il Teatro dell’Opera ha ripreso una stagione estiva (che nel 2007 annovera tre opere liriche, due balletti e due concerti per un totale di 25 rappresentazioni). Tuttavia, il alcune occasioni (come la ricorrenza di un tenore al tempo stesso generassimo e popolarissimo) è bene che la lirica tolga le vesti paludate di “musa bizzarra ed altera” e vada verso caratteristiche nazional-popolari. Anzi una delle ragioni per cui mentre all’estero si costruiscono nuovi teatri ed il pubblico fa la fila per rappresentazioni liriche, mentre da noi l’opera langue risiede proprio nella perdita della patina nazional-popolare e dell’essere sempre più considerata come spettacolo polveroso per cariatidi del tempo che fu.
Comunque nella serata del 16 luglio, le Terme di Caracalla mostravano tutto il loro splendore sotto un cielo terzo e stellato (ogni tanto disturbato da qualche area in atterraggio od in decollo nel vicino aeroporto Leonardo da Vinci a Fiumicino). Una serata che sarebbe piaciuto a Giglia che cantava quando alle Terme erano stati dilatati gli spazi per creare una platea di 10.000 spettatori in quanto il Governo dell’epoca enfatizzata l’italianità ed il carattere popolare della lirica.
Un recital a Caracalla è necessariamente amplificato. Ciò crea comunque difficoltà nell’apprezzare le sottigliezze della voce (ed ancor più quelle dell’accompagnamento per pianoforte). Inoltre, i tre cantanti non tenevano sempre a giusta distanza il microfono, creando degli scompensi. Tuttavia – ripetiamolo – ciò non aveva effetti complessivi sulla presa dello spettacolo sul pubblico , venuto abbastanza numeroso sia con intenti celebrativi sia per scoprire la star del momento (Rolando Villazòn) più che per badare alle sfumature.
Il concerto era articolato un due parti-la seconda prevalentemente verdiana e la prima con belcantismo in alternanza con arie e duetti pucciniani ed escursioni nell’opéra lyrique.
Villazòn non era in perfette condizioni di salute ma ha cantato con generosità . Ha aperto il concerto cantando un’aria particolarmente difficile Una furtiva lacrima. Nonostante dovesse cantare “a freddo” ha dato prova di alcune caratteristiche della sua voce: un timbro chiaro, un fraseggio morbido, la capacità di ascendere a si naturali ed a do trattenendo a lungo la nota. Nei due duetti successivi O soave faciulla (con la Manfrino) e Venti scudi (con Vassallo) , non solo non hai coperto i colleghi (Vassallo, comunque, era certamente in condizioni vocalmente migliori, soprattutto sotto il profilo del volume) ma ha mostrato abilità nel passare dal belcanto alle soglie di un verismo che richiede un colore leggermente più scuro. Vale la pena ricordate che l’allora 27nne Villazòn (anche non scoperto da Lissner per una memorabile Traviata a Aix en Provence) ha avuto un debutto romano importante proprio a Roma in una Bohème per giovani voci al Teatro Brancaccio.
Nella seconda parte, Villazòn ha affrontato principalmente Verdi ( Quando le stelle al placido , Dio che nell’Alma, Per me giunto è il passo estremo) ed il Lamento di Federico , inevitabile in una commemorazione di Beniamino Gigli. Tecnicamente perfetto (ma a tratti un po’ freddo) sia negli “a solo” sia nei duetti con Vassallo e con la Manfrino, ha riscaldato il pubblico nel bis finale dedicato alla canzone napoletana.
Vassallo, ancorché giovane, è molto noto al pubblico. E’ il baritono verdiano per eccellenza del momento (ha cantato Eri tu e Ormai giunto al passo estremo oltre ai duetti con Villazòn) ma ha ricordato le sue ascendenze belcantistiche e di agilità (con il donizettiano Venti scudi ed il rossiniamo Largo al factotum)ò.
La vera scoperta della serata è stata Nathalie Manfrino che, credo, in Italia si sia ascoltata soltanto in Manon di Massenet al Massimo di Palermo. Sorprende la sua versatilità, nonostante la giovane età, nel passare dal melodramma verdiano, all’opéra lyrique alle soglie del verismo. In Patria ed in Spagna si è anche cimentata con successo con uno dei più difficili ruoli mozartiani (Fiordiligi) , con la scrittura vocale novecentesca (Costanza ne Les Dialogues des Carmélites di Poulenc, Roxane in Cyrano di Alfano) e con Gluck. E’ un’interprete da tenere d’occhio; promette di andare lontano.

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