giovedì 19 luglio 2007

LA NUOVA VIGILANZA NON PASSA DAGLI EMENDAMENTI

Il dibattito – in effetti mai sopito - sul modello di vigilanza del settore finanziario meglio adatto all’Italia è stato riaperto dalla presentazione di un emendamento governativo al ddl sul credito al consumo una norma che prevede la soppressione dell’Isvap ed il trasferimento delle sue funzioni alla Banca d’Italia. Al di là dei vantaggi e svantaggi della misura specifica e della opportunità o meno di cercare di realizzarla tramite un emendamento in un ddl su materie affini (ma differenti), è utile fare il punto sul modello di vigilanza sulle attività finanziarie in evoluzione e sui suoi costi e benefici rispetto ad altri.
E’ argomento che MF-Milano Finanza ha già trattato molte volte; in un certo senso questa testata è stata un precursore in quanto nell’ormai lontano 1999 ha dedicato al tema un’inchiesta a puntate – in parallelo con l’affermarsi in Europa (ed anche in Italia) forme di banqueassurance che si ponevano, con l’offerta di servizi finanziari integrati, su un terreno differente delle banche, delle assicurazioni e delle società di gestione del risparmio tradizionali. Nel contesto dell’epoca (non si era ancora varata la nuova architettura della legge 28 dicembre 2005, generalmente chiamata la legge sul risparmio); su molti nuovi soggetti incombeva una vigilanza plurima da parte di organi di controllo con criteri e procedure non necessariamente convergenti. Allora, il problema non era esclusivamente italiano, ma europeo – negli Usa l’architettura è marcatamente più complessa a ragione delle natura federale del Paese e delle vaste competenze dei singoli Stati.
Negli ultimi otto anni, molti Paesi hanno realizzato riforme. Si confrontano due modelli: a) vigilanza unica od integrata (in cui un’unica autorità ha compiti di vigilanza su tutte le attività di servizio finanziario quale che sia il soggetto titolare): b) vigilanza settoriale o funzionale (quindi condotta da agenzie specializzate a seconda delle categorie dei prodotti finanziarie, e dei soggetti pertinenti).
Negli altri 28 Stati dello Spazio economico europeo (See), 14 hanno adottato il sistema di vigilanza unico integrato: Austria, Belgio, Danimarca, Estonia, Germania, Ungheria, Irlanda, Lettonia, Lussemburgo, Malta, Svezia, Regno Unito, Islanda, Norvegia. Esistono varie autorità di vigilanza con poteri e responsabilità differenti in: Francia, Cipro, Repubblica Ceca, Finlandia, Grecia, Lituania, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Slovenia, Slovacchia, Spagna, Liechtenstein. Nei Paesi Bassi è stato ultimato il processo di riorganizzazione per finalità, con la creazione di un’autorità per la stabilità finanziaria. Generalmente, quale che sia il modello, resta, più o meno pregnante, il ruolo della Banca centrale, quale supervisore del settore bancario. In alcuni Stati con sistema di vigilanza unico, come Germania ed Austria, la Banca centrale collabora attivamente nel settore bancario; nel Regno Unito e in Svezia, invece, il coinvolgimento è limitato, in Danimarca inesistente. In Irlanda la vigilanza unica risulta è all’interno della stessa Banca centrale ma con poteri completamente autonomi.
La vigilanza unica, o integrata, sta diventando, quindi, il modello prevalente nello See. Le determinanti sono le seguenti: a) economie di scala (dato che molteplici funzioni comuni, quali personali e sistema informatico, possono essere accentrate), b) migliore gestione di risorse specialistiche (a volte carenti nei singoli regolatori); c) eliminazione di conflitti tra obiettivi e realizzazione di parità di approccio alla vigilanza (minimizzando ove non riducendo arbitraggi regolamentari); d) maggiore trasparenza nei confronti di vigilati, consumatori, organi politici.
In breve, secondo analisi di Banca mondiale e Fmi (non riferite all’Italia) il costo complessivo sul sistema economico della vigilanza integrata è inferiore a quello della vigilanza settoriale che si sta affermando da noi. Tuttavia sono proprio Banca mondiale e Fmi a sottolineare come non si tratti di un passaggio semplice: occorre omogeneizzare la regolazione, spesso frammentata (specialmente tra il settore bancario e quello assicurativo), mettere in conto un lasso di tempo adeguato (non inferiore a due anni) per risolvere gli inevitabili problemi organizzativi, fare attenzione che non ci sia una “cultura dominante” (sovente quella della Banca centrale) ad impregnare l’autorità di vigilanza unica e che il personale più qualificato non abbandoni la nuova agenzia. Tutti passaggi più adatti ad un disegno di legge organico che ad un emendamento ad un ddl, su temi vagamente affini, già in discussione.

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