venerdì 15 giugno 2007

QUESTO HEDGE SOMIGLIA PIU’ A UN FONDO COMUNE

Quanto e a chi rendono gli hedge fund? Il tema è di grande attualità: il 6 giugno (ma pochi se ne sono accorti) con il comunicato conclusivo della riunione di Heiligendamm, i Capi di Stati e di Governo dei “grandi” del mondo, il G8, benedicevano la strategia di “autoregolamentazione” e di “vigilanza indiretta” definita in precedenza dai loro Ministri economici e finanziari; nel fine settimana dell’8-9 giugno il mondo delle telecomunicazioni (e della finanza) è stato sulle spine a proposito della battaglia di una serie di “activist investors” (guidati dall’hedge fund Efficient Capital Structures) per il controllo e la riorganizzazione del gigante del settore Vodafone; quasi in parallelo, gli specialisti dell’azionario sono stati scossi da uno studio dell’Economist Intelligence Unit (Eiu) secondo cui “gli hedge fund rendono unicamente ai loro gestori” e da un’analisi riservata di Bridgewater Associates a detta della quale “gli hedge funds fanno il contrario di quanto promettono” – non portano soddisfazioni con un comportamento “contrarian” (cioè differente da quello della media degli investitori) ma si muovono sullo stesso solco di quegli indici azionari da cui dicono di tenere le distanze.
Partiamo dal lavoro di Bridgewater Associates, in base al quale negli ultimi 24 mesi l’andamento degli “hedge funds” è stato mediamente correlato al 60% con l’indice Standard & Poor, al 67% con il Morgan Stanley Capital Inertational Eafe (Europa, Australia e Estremo Oriente), e ben 87% con gli indici dei mercati emergenti. Quindi, tanto rumor per nulla? Se l’analisi di Bridgewater Associates viene estesa sino al 1994, la correlazione è più bassa: tra il 49% ed il 54%. Da un canto, ciò indica che gli operatori dei fondi in questioni sono diventati più cauti; da un altro, che i fondamentali del mercato hanno maggiore volatilità. In altri termino, ciò convalida l’analisi dell’Eiu secondo cui si pagano fee elevate più per l’immagine che per la sostanza – un bene posizionale come il vino bianco di Meursault (per cui si pagano 150 euro la bottiglia).
Un risultato che, ad una lettura superficiale, può risultare divergente è in un saggio apparso nell’ultimo fascicolo della rivista “European Financial Management “ (Vol. 13, n.2, pp. 309-331) . Viene utilizzata una strumentazione raffinata di analisi finanziaria (l’algoritmo Fama-French per l’analisi di rischio) per studiare l’andamento dei rendimenti su un arco di tempo molto esteso: dal 1990 al 2003. “Tutte le categorie di hedge fund riportano rendimenti molto più elevati degli indici aggregati di Borsa”. Tuttavia, tale andamento è da attribuirsi unicamente ai risultati molto più che buoni del 40-47% dei fondi: Quindi, il suggerimento: gli investitori istituzionali ed i fondi pensioni scelgano con cura a chi affidare le loro risorse.
Un’indicazione interessante viene da un lavoro di quattro università Usa (apparso come Ecgi Finance working paper N. 139/2006). L’analisi riguarda un periodo breve (il 2004-2005) e solo i fondi Usa: scava nell’effetto annuncio. Gli “hedge fund” che si presentano a gestione attiva e dinamica espongono rendimenti elevati di breve periodo (il 5-7% per una finestra di 20 giorni). Molto elevati quando attivismo e dinamismo vogliono dire un’acquisizione od una ristrutturazione aziendale non amichevole (quale evocate dalle cronache finanziarie di questi giorni a proposito della Vodafone). Altro aspetto: dopo l’impennata (dati alla mano) non ci sarebbe distruzione di valore ma rientro in un alveo più contenuto.
Ancora più interessante (ma pertinente unicamente agli hedge americani) una caratteristica identificata in un lavoro della New York University (Egci Finance Working Paper N. 140/2006) che esamina i frutti di un attivismo molto speciale (avvalersi di una norma contabile Usa che consente di posticipare le dichiarazioni alle autorità di vigilanza) nel periodo gennaio 2003- dicembre 2005. Con un investimento anche appena del 5% in una SpA in fondo dinamico ed attivo riesce, nel 60% dei casi, di piegare il management alle proprie richieste.
La bellezza – dice un proverbio britannico – è negli occhi di chi guarda. Ma – aggiungiamo – ne plasma anche i comportamenti.

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