martedì 12 giugno 2007

PIETRA DI DIASPRO

Opera-Video di Adriano Guarnieri
In primo luogo, è di grande rilievo che i teatri italiani riprendano a commissionare opere di autori contemporanei. Questa stagione, l’Opera di Roma ne presenta due: oltre a “Pietra di Diaspro” di Adriano Guarnirei (a mezzadria con il Ravenna Festival), “Saul” (non dalla tragedia di Vittorio Alfieri, ma da un testo di André Gide) di Flavio Testi (che verrà tenuto a battesimo in quel gioiello che è Teatro Lauro Rossi di Macerata prima di approdare nella capitale). Un’opera contemporanea chiuderà la stagione in corso alla Scala ed una ancora aprirà il 10 ottobre quella dei Teatri di Reggio Emilia. Ci vuole coraggio date la molteplici determinanti che hanno portato alla la disaffezione del pubblico italiano per la musica contemporanea , in marcato contrasto con quanto avviene in Germania, in Francia, in Gran Bretagna e soprattutto negli Usa.
In secondo luogo, è importante che pure la “musa bizzarra e altera” sperimenti con il multimediale: Guarnieri chiama il proprio lavoro “opera video” per il ruolo che in esso ha il visivo ad alta tecnologia. In effetti, più che un’opera (anche nel senso moderno del termine) è uno smisurato oratorio in cui grande organico orchestrale, musica dal vivo, voci, live electronics, danze e mimi ripropongono un tema eterno: la lotta tra la Babilonia terrestre (del potere e della lussuria) e la Gerusalemme celeste (risplendente di “pietra di diaspro”, bianca e lucente, come nell’”Apocalisse” di Giovanni.
Il testo è costituito da frammenti letterari dall’”Apocalisse”, accostati da poesie di Paul Celan e di Jacques Maritain – quindi, letteratura apocalittica antica accanto a lirica apocalittica moderna – di un ebreo, che ha patito il campo di concentramento (dove sono morti i suoi genitori) e di un cattolico. Celan – ricordiamolo – tratta, in maniera non confessionale, del tormento del male nella società d’oggi. Maritain, d’altro canto, è uomo di Fede, e di speranza. Guarnire si definisce non credente pur se in continua tensione spirituale.
Non c’è uno sviluppo drammatico vero e proprio. Il dramma non è in una trama ma nello spirito, nonostante si possano identificare sequenze o quadri specifici quali la scena e aria sull’amore coniugale al termine del primo atto, la danza dei fiori, all’inizio del secondo, l’orgia di sesso e potere e, nel finale, il trionfo della luce. Il lavoro, peraltro, segue una struttura quasi di opera seria canonica (quella settecentesca), con tutte le convenzioni del genere . E’ divisa in due parti, ciascuna delle quali composta di dieci sequenze o quadri. Ogni sequenza (o quadro) ha uno specifico tratto musicale o vocale che la caratterizza, nonché elementi visivi puntuali. In quanto opera “apocalittica”, con una forte connotazione simbolica, il numero “sette” è centrale al suo svolgimento: ci sono sette voci (cinque soprani e due contro tenori), sette cori (ciascuno di una sola voce come in “The rape of Lucretia” di Benjamin Britten), sette trombe, sette arpe (una dal vivo e sei registrate e trasmesse da altrettanti canali), un organico orchestrale di quasi 40 elementi (cruciale la funzione degli ottoni) con l’aggiunta delle sette trombe e delle sette arpe, un flauto iperbasso (inventato per l’occasione da Roberto Fabbriciani) ed un violoncello solista e molta live elecronics. Complessivamente, l’organico non è molto distante da quelli dei monumentali oratori profani di Luigi Nono o dei lavori elettroacustici di Karlheinz Stockhausen. Interessante il ruolo della musica elettronica: di contrappunto e di spazializzazione degli effetti di una vastissima gamma di combinazioni timbriche. L’obiettivo è quello di avvolgere l’ascoltatore - spettatore , la cui attenzione è carpita da effetti visivi digitali integrati alla partitura.
Quale in questo contesto la funzione delle voci? I movimenti vocali sono tutti formalmente compiuti (arie, duetti, terzetti): rimandano alle Sette Canzoni di Gian Francesco Malipiero ed ad Erwatung di Arnoldo Schönberg , pur includendo due arie rock ed anche richiami alla musica leggera. La scrittura (molto complessa come risulta da uno sguardo anche fuggevole alla partitura, scritta su un lungo rotolo) , quindi, non è della contemporaneità più sfrenata (spesso minimalista) ma ha riferimenti che nella parte orchestrale appartengono agli Anni 70 ed 80 ed in quella vocale agli Anni 20. Questo è da considerarsi, al tempo stesso, un vertice ed un limite del lavoro di Guarnirei.
Dato che si tratta di un’opera video, la parte visiva è importante quanto quella musicale. Cristina Mazzavillani Muti (che ha lavorato con Guarnirei per quattro anni al progetto ed alla sua realizzazione) è una specialista di scenografie virtuali digitali, come già mostrato nei suoi allestimenti di I Capuleti e i Montecchi e, soprattutto, de Il Trovatore. Assistita da Ezio Antonelli (immagini virtuali), Alessandro Lai (costumi) e Patrizio Maggi (luci), e svincolata dal dovere seguire un intreccio, crea (con un gioco di immagini virtuali, proiezioni e specchi) un susseguirsi di effetti speciali che, strettamente legati con la musica, danno corpo agli stati d’animo dell’opera-video. I cantanti restano ai lati dell’orchestra ed i cori nel fondo scena, ma con un numero limitato di mimi e ballerini – la coreografia è di Silvia Curti – Cristina Mazzavillani Muti rappresenta efficacemente sul palcoscenico il dramma dello spirito espresso dalla scrittura orchestrale e vocale e dal live electronics che avvolge il pubblico. Accurata la fantasia di colori che accompagnano le singole sequenze musicali sino a esplodere del luminosissimo bianco del finale.
Piero Borgonovo dirige con perizia l’orchestra del Teatro dell’Opera di Roma alle prese con una scrittura impervia (specialmente nella prima parte). Spiccano le parti solistiche all’arpa, al violoncello ed al flauto iperbasso (rispettivamente Paolo Perrucci, Andrea Noferini, e Roberto Fabbriciani).
I solisti vocali sono ben 14. Tra essi di speciale rilievo due dei soprani (Antonella Ruggiero e Alda Caiello) e i due controtenori (Marco Lazzara e Gianluca Blefiori Doro). Antonella Ruggiero viene dalla musica leggera (quale la formazione Matia Bazar) ed è stata una delle vincitrici del Festival di San Remo del 2005. Ha un timbro ai limiti quasi del soprano drammatico e conferma la propria vocazione per la musica contemporanea; le è affidato, tra l’altro, lo struggente finale dell’opera-video. Alda Caiello è, invece, un soprano lirico di agilità che, pur con successi nel repertorio settecentesco (Boccherini, Pergolesi, Gluck) si è specializzata nella vocalità contemporanea: ha trionfato nell’”a solo” (quasi un’aria) con cui si chiude la prima parte. Marco Lazzara e Gianluca Belfiori Doro hanno (come è d’uopo per i controtenori) lavorato principalmente nell’opera barocca (in ruoli originariamente concepiti per castrati). Non sono necessariamente al debutto nell’opera contemporanea (Lazzara ha cantato in lavori di Vacchi, Manzoni, Kanchel e Riemann); hanno dato tuttavia prova e di virtuosismo e di forti personalità. E ricordato come non solo la struttura musicale di Pietra di Diaspro ma anche quella vocale abbiano pure echi settecenteschi.
Tre considerazioni conclusive. In primo luogo, La durata complessiva dell’opera è un’ora e mezzo; sarebbe più efficace realizzarla senza intervallo. In secondo, Guarnieri afferma che con Pietra di Diaspro intende riportare i giovani al teatro d’opera; si illude poiché in suo lavoro è d’élite e per un pubblico d’élite. Dato che gli Stati Uniti sono il Paese dove (anche a ragione dell’azione delle Schools of Music universitarie) i giovani vanno più alla lirica occorre guardare alle esperienze d’oltreoceano come Carlisle Floyd, Thea Musgrave , Robert Ward, Jack Beeson, Kirche Meechem nella seconda metà del Novecento o quelle di questo primo scorcio di XXI secolo – quali André Previn, Gerald Barry, Nicholas Maw . John Adams, Thomas Pasateri, Dominick Argento, Lorin Maazel. Oppure allo straordinario successo di Thomas Adès non solo nella natia Gran Bretagna ma anche altrove. Seguono canoni molto differenti da quelli di Pietra di Diaspro .
In terzo luogo, infine, dopo le poche repliche a Roma e Ravenna, non si sa se il lavoro verrà ripreso. Almeno in Italia. Nonostante i suoi limiti (indicati in precedenza), un’opera-video di questo spessore avrebbe almeno 15 repliche in teatri come lo Châtelet di Parigi o il Magazine della Staatoper di Berlino (la sala specializzata in lavori contemporanei) oppure ancora alla Newy York City Opera o alla Brooklin Academy of Music. Il circuito toscano-romagnolo o quello emiliano dovrebbero avere un sussulto di coraggio.

Roma, Teatro Nazionale 10 giugno
Giuseppe Pennisi


La LOCANDINA

PIETRA DI DIASPROTesti tratti dall'Apocalisse di San Giovanni Apostoloe liriche liberamente tratte dall'opera omnia di Paul Celan Musica di Adriano GuarnieriORCHESTRA DEL TEATRO DELL'OPERA NUOVO ALLESTIMENTO
Commissione del Ravenna Festival in coproduzione con il Teatro dell’Opera di RomaPrima esecuzione assoluta
Maestro Conertatore e Direttore

Pietro Borgonovo
Regìa

Cristina Mazzavillani - Muti
Scene

Ezio Antonelli



INTERPRETI PRINCIPALIAntonella Ruggiero. Alda Caiello. Sonia Visentini.Roberto Fabbriciani. Daniela Uccello

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