sabato 9 giugno 2007

PENSIONI, DIETRO IL DISSENSO TECNICO L’IMBARAZZO DEI CONTI CHE NON TORNANO

La polemica tra Governo italiano e Ocse sulla politica previdenziale ricorda una commedia settecentesca di Giovanni Giraud, messa più volte in musica (anche da Gaetano Donizetti): “L’ajo nell’imbarazzo”. E’ pièce ad intreccio basata su una serie di equivoci attorno ad un vecchio zio (l’ajo per l’appunto) un po’ babbeo. Nel nostro caso, il ruolo dello zio pare affidato al Presidente del Consiglio Romano Prodi ed al Ministro dell’Economia e delle Finanze Tomaso Padoa-Schioppa (TPS), il cui Governo è costretto ad esprimere un “dissenso tecnico” nei confronti di valutazioni dell’organizzazione di Château de la Muette.
Tale “dissenso” viene formulato proprio mentre, da un lato, il Ministro dell’Interno Giuliano Amato pubblica (a quattro mani con l’economista Mauro Maré) un libro – Il gioco delle pensioni . Rien-ne-va-plus? Il Mulino, maggio 2007- che sostiene tesi analoghe a quelle dell’Ocse e, dall’altro, l’economista italiano, Pier Carlo Padoan (sino alla settimana scorsa direttore della Fondazione Italiani-Europei, co-presieduta da Amato e D’Alema) assume la carica di Vice Direttore Generale dell’Organizzazione. Tanto Maré quanto Padoan (quanto chiunque sappia far di conto) che l’indicazione quantitativa Ocse è corretta (pur se stilizzata). Sulle colonne del Corriere della Sera, TPS ha sostenuto tesi molto più severe di quelle dell’Ocse in una serie di articoli raccolti proprio in questi giorni in volume. Nella pièce , al pari dell’ajo di Giraud, i protagonisti danno l’impressione di non essere in grado di fare addizioni. E di non rendersi conto dei sorrisi ironici (ove non vere e proprie risate) con cui vengono accolti dal resto della comunità internazionale.
Il “dissenso tecnico” riguarda, apparentemente, il metodo con il quale nella pubblicazione Pensions at Glance (“Uno sguardo alle pensioni”) vengono presentati i problemi dei sistemi previdenziali dei 29 Paesi Ocse – e la brutta figura che vi fa l’Italia (rispetto agli altri). Il metodo è ovviamente estremamente semplificato – come è necessario per costruire tavole sinottiche di Paesi molto differenti (in termini di demografia, mercato del lavoro, previdenza). Tuttavia, il messaggio è lapalissiano: se non si fa una rapida correzione, o la spesa previdenziale sbancherà i conti dello Stato o i nostri figli resteranno senza pensioni. E’ un messaggio che l’Ocse ripete in ogni Economic Outlook e Employment Outlook da anni, soprattutto dal 2005 (data della revisione annunciata e non realizzata dei “coefficienti di revisione” per trasformare in assegni mensili il montante dei contributi accumulati). Già nel 2004, nel libro Ocse Reforming Public Pensions nel capitolo sull’Italia, scritto a quattro mani da me e Mauro Maré, si diceva chiaro e forte che occorreva ridurre il periodo di transizione dal meccanismo retributivo a quello contributivo; in Svezia tale transizione è stata fatta in tre anni (dal 1995 al 1998) mentre in Italia se ne prevedono 18 che , tenendo conto delle pensioni di reversibilità, potrebbero diventare dai 28 ai 35.
L’ajo è nell’imbarazzo perché si sta per aprire un tavolo con i sindacati in cui la parte più radicale del Governo avrebbe già venduto dell’orso: nessun accorciamento al periodo di transizione ma, al contrario, abrogazione (od ammorbidimento) delle misure (lo “scalone” Maroni) dirette a ritardare l’età della pensione, nessun ritocco ai coefficienti di trasformazione, pensioni basse più pingui ed un’indicizzazione più generosa. Ossia un percorso che è l’esatto contrario di quanto predicano da anni Ocse, Fmi , Commissione Europea ed economisti italiani (anche quelli vicini al centro sinistra come il gruppo de lavoce.info .
Purtroppo per l’ajo, pure nel Regno di Oz la matematica non è un opinione e non esiste la bacchetta magica per mettere a posto conti che non lo sono. Ed il suo è il dissenso dell’imbarazzo (sia tecnico sia politico).

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