martedì 5 giugno 2007

I DIPENDENTI DELL’ALITALIA SI RIPRENDANO LA COMPAGNIA

Il gruppo americano TPG (affiancato da Mediobanca) ha lasciato la gara Alitalia prima ancora di acquisire, dalla data room, le informazioni finanziarie di dettaglio (le più importanti riguardano la redditività per le singole tratte) essenziali per mettere a punto l’offerta. Il fine settimana del 2-3 giugno veniva dato quasi per certo che la cordata Aeroflot-Unicredit avrebbe pure lei dato una sbattuta di porta. In un’intervista al quotidiano russo Kommersant , l’amministratore delegato Valeri Okulov ha lanciato un’accusa pesante - sarebbero state cambiate le regole del gioco a partita molto avanzata – ma ha anche aggiunto che “forse” la società di Mosca resterà in corsa per “vedere come a finire”. I concorrenti in lizza lamentavano, inoltre, di non riuscire ad avere (dall’Alitalia) le cifre essenziali – quelle sui voli Roma-Milano e relativi rendimenti.
Il gran ritiro avviene nei giorni immediatamente successivi alle elezioni e mentre il Governo è alle prese con il “caso Visco” non del tutto ancora risolto. Ci sono motivazioni tecnico-finanziarie e politiche. La vigilia delle elezioni, il Ministro dei Trasporti Alessandro Bianchi ha detto a tutto tondo quanto già affermato su Il Tempo (più volte) sin da gennaio ed esaminato più estesamente nel Quinto Rapporto sulle Liberalizzazioni del comitato scientifico di Società Libera (diramato il 30 maggio): sotto la veste di una finta privatizzazione e di un’asta pubblica cela una nuova ricapitalizzazione. Tale ricapitalizzazione minaccia di essere costosa per i contribuenti perché, da un alto, in essa si annida (ma non troppo) il tentativo di ampliare il “partito aziende” di impronta prodiana e , dall’altro, pone sull’erario le probabili perdite dell’impresa in un arco non precisato del futuro prossimo. Lo dicono ora anche economisti come Marco Ponti e Giorgio Ragazzi, non vicini al centro destra. Ricapitalizzata, con l’apporto di denaro fresco ma sempre a controllo statale, Alitalia diventerebbe uno strumento di lottizzazione e potere (più di quanto non lo sia stato in passato) per il partito-aziende di stampo prodiano e per il resto della sinistra. Prospettiva appetitosa dopo le elezioni e sulla scia del “caso Visco”, eventi che potrebbero affrettare lo sfratto di Prodi da Palazzo Chigi. Poco attraente per partner stranieri che non vedono di buon occhio una politica politicante che mette becco troppo spesso ed in modo pesante.
Potrebbero avere interesse a restare della partita gli amici-degli-amici: entrerebbero nell’Alitalia al 39% e parteciperebbero ad una ristrutturazione da farsi a carico di Pantalone per rivendere (presumibilmente con una valorizzazione gratificante) al termine del vincolo temporale (tre anni) in cui stare con la compagnia oggi di bandiera. In questo scenario, il 2 luglio (data quando si devono presentare le offerte) l’Air One di Carlo Toto con il supporto di Intesa – Sanpaolo e (in parte) di Mps resterebbe il solo concorrente. Il Presidente di Alitalia Bernardino Libonati ha detto, per sdrammatizzare, che alla fine di ogni gara, c’è un solo vincitore. Prodi (a cui Air One e IntesaSanpaolo sono collaterali) afferma giovialmente che “la gara va avanti”, con un tono che ricorda il comunicato del 25 aprile 1943 su “la guerra continua”. Freudianamente, la cosiddetta “gara” assomiglia sempre più alla (evitata) cessione a licitazione privata della Sme un quarto di secolo fa. Ad aggravare il quadro, il Presidente di Lufthansa e un conoscitore del trasporto aereo come Giuseppe Bonomi hanno, in interviste distinte, sottolineato che Air One non sarebbe “un soggetto industriale in grado di rimettere in sesto Alitalia”.
Nell’ipotesi che resti un unico concorrente si possono immaginare strascichi giudiziari (e politici) che ucciderebbero definitivamente un malato già molto grave (Alitalia perde due milioni di euro al giorno ed è in atto una vera e propria transumanza di passeggeri verso altre compagnie). Il fallimento verrebbe unicamente ritardato da una nuova ondata di accanimento terapeutico.
Quale l’alternativa? L’ultima spiaggia sono paradossalmente i dipendenti di Alitalia (spesso criticati per le eccessive richieste e la propensione a scioperare). Si diano la sveglia. Abbiano un sussulto di orgoglio. Si autoriducano predende. Si prendano carico della “loro” compagnia. E dimostrino che non hanno paura di volare.

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