lunedì 21 maggio 2007

TOLLERANZA ZERO PIACE ALL'IMMIGRATO CHE LAVORA

La sicurezza è diventato uno dei problemi cruciali di un’Italia dove, sino a qualche anno fa, in molte città (specialmente di provincia) si tenevano aperte le porte delle case per l’intera giornata. I sondaggi condotti in occasione del primo compleanno del Governo Prodi convergono (quali che siano le divergenze sugli altri punti) nel sostenere che la sicurezza è ormai la principale preoccupazione degli italiani. Il Ministro dell’Interno Giuliano Amato ha, senza dubbio, le migliori intenzioni e sottolinea correttamente che i più poveri ed i più deboli sono anche i più indifesi nei confronti della criminalità dilagante – tesi documentata ma coraggiosa in una sinistra che si immagina un mondo pieno di Robin Hood (che rubano ai ricchi per dare ai poveri) e dove sovente la comprensione per le sventure sociologiche del colpevole superano la commiserazione nei confronti della vittima.
I “patti per la sicurezza” che vengono varati in questi giorni (a quelli per Roma e Milano ne seguiranno presto per Torino ed altre maggiori città a rischio) o sono soltanto un primo passo oppure assomigliano a somministrare l’aspirina ad un ammalato che ha urgente bisogno di un intervento chirurgico. Da parte dello Stato centrale contemplano, principalmente, un maggior impegno immediato a fornire forze dell’ordine e la promessa di interventi per l’edilizia pubblica (case popolari per immigrati e rom); gli enti locali, nel contempo, provvederanno, sulle loro risorse, a creare centri di solidarietà , a più frequenti pattugliamenti da parte dei vigili, ed a decentrare enclave etniche di varie forme e guise (come le Chinatown che si stanno formando in varie città). L’onere finanziario grave soprattutto sugli enti locali, segnatamente i comuni. Sono note a tutte le ristrettezze della finanza pubblica, ma non si poteva destinare alla sicurezza il “tesoretto” (sempre che esista)? Oppure non si poteva affrettare le riforma della previdenza sia per meno penalizzare i giovani sia per avere risorse da dedicare alla sicurezza (data la priorità indicata dai sondaggi)?
Sono domande a cui devono rispondere il Presidente del Consiglio ed il Ministro dell’Economia e delle Finanze. Non il Ministro dell’Interno. Al Viminale, però, si potrebbero utilizzare le lezioni di alcuni casi in cui gli interventi per la sicurezza hanno avuto successo al fine di rendere più efficaci i “patti per la sicurezza”? Due ne vengano immediatamente alla mente: la riduzione della criminalità a New York negli anni in cui era sindaco Rudolph Giuliani ed il modo in cui nell’estate 2003 Nicolas Sarkozy (allora Ministro dell’Interno della Francia) ha sedato i moti suscitati dai cosiddetti “intermittents” (lavoratori dei media, delle arti e dello spettacolo a cui venivano ridotte le elevate indennità di disoccupazione di cui godevano per sei mesi l’anno – quando di solito lavoravano in nero). La ricetta è identica: tolleranza zero (accompagnata da una rete di tutele sociali soltanto per coloro effettivamente ai livelli di sussistenza). Un saggio fresco di stampa di un economista di nazionalità cinese in servizio all’ufficio studi del Fondo Monetario (Imf working paper n. 07/36) ci ricorda, sulla base di un’analisi comparata di 19 Paesi, come sia difficile realizzare il modello di “flexsicurity” attuato in Danimarca; dati dell’Interpol, in aggiunta, ci dicono che anche nel piccolo e solitamente pacioso Regno di Amleto il tasso di criminalità è aumentato notevolmente tra il 1995 ed il 2000 ( del 250% gli omicidi, del 50% i furti, del 10% i casi di violenza carnale) quando è stato introdotto il principio di “tolleranza zero” , reso più rigoroso dopo il ritorno del centro destra al Governo nel 2005. L’ultimo libro di Arno Tausch (un sociologo dell’Università di Innsbruck noto per essere filo-islamico) sottolinea, sulla base di una ricca analisi quantitativa, come una politica di “tolleranza zero” avrebbe il supporto di quelli che chiama i “mussulmani calvinisti”, i più disposti ad integrarsi nelle società d’immigrazione ed a contribuire alla crescita economica delle loro famiglie e dei Paesi di accoglienza.

Nessun commento: