lunedì 30 aprile 2007

LE TROPPE LEGGI BUCANO LE CONDOTTE D'ACQUA

Venerdì 4 maggio il Consiglio dei Ministri esaminerà un documento dei dicasteri interessati per decidere se ed in qual misura dichiarare lo stato di emergenza per la crisi idrica. Prima di delineare i rimedi, vediamone le cause e gli effetti possibili.
In primo luogo, su base mondiale oggi una persona su cinque ha, secondo le Nazioni Unite, accesso ad acqua potabile. Il Consiglio Mondiale per le Acque (un’organizzazione specialistica non governativa) ricorda che nel XX secolo la popolazione mondiale è triplicata, ma il consumo di acqua sestuplicato. Nei prossimi 50 anni si prevede un aumento del 50% della popolazione mondiale ed una domanda sempre più forte di acqua. Il Consiglio sottolinea che il problema chiave è la gestione (più che il destino cinico e baro alla base del buco nell’ozono e del riscaldamento della calotta terrestre).
In secondo luogo, lo stessa Unicef (non certo l’avanguardia del capitalismo selvaggio e del libero mercato) evidenzia che una determinante importante è una politica delle acque ambigua e contraddittoria ed un’amministrazione, quasi sempre pubblica, con più buchi di quelli degli acquedotti. Così come – ci ha insegnato il Premio Nobel Amarta Sen – è alla base delle carestie , la politica (specialmente la cattiva politica) è pure all’origine delle crisi idriche.
In secondo luogo, la situazione italiana. In questi giorni vengono sciorinate cifre su cifre: nelle aree urbane (e quasi tutto il Paese è coperto da città e cittadine), si sprecherebbe il 50% dell’acqua disponibile, non si ha contezza che ogni anno si perdono 2000 litri da un rubinetto che perde una goccia ogni cinque minuti, le perdite della rete sono pari al 52% dell’acqua immessa nella parsimoniosa Belluno ma raggiungo il 70% nella sprecona Cosenza: E via discorrendo. Pochi riflettono sul fatto che , negli ultimi sette anni, la situazione (già non buona all’inizio degli Anni 80 quando me ne dovetti occupare in prima persona al Ministero del Bilancio e della Programmazione Economica) è diventata pessima per una determinante politica: il nuovo Titolo V della Costituzione , approvato frettolosamente al termine della XIII legislatura, da un centro-sinistra che sperava, così, di strappare voti alla Lega. Da allora vige il caos delle competenze , aggravato (a livello centrale) da quello (costosissimo) ancora in corso per lo spacchettamento dei Ministeri. Organizzazioni tecniche considerate per decenni esemplari pure da osservatori stranieri – come il Magistrato delle Acque per il Po – sono state depotenziate prima che le Regioni avessero mezzi e soprattutto esperienza per affrontare problemi che diventavano ogni giorno più gravi. Nella XIV legislatura si è fatto un tentativo per rimettere un po’ d’ordine ma nella confusione relativa alla riforma dello Stato in direzione federalista non se ne è concluso nulla.
Esistono, in Italia, le capacità tecniche ed amministrative per evitare che acquedotti colabrodo, famiglie ed imprese di manica larga (in tema di consumi idrici), municipalizzate travagliate da mille problemi provochino la prossima estate black out ed altre emergenze di breve periodo. Occorre però stabile chiare competenze e responsabilità e fare un vero gioco di squadra.
Per il medio e lungo periodo, il problema è più complesso. Occorre, innanzitutto, riflettere sulle politiche che hanno portato al nuovo Titolo V della Costituzione ed al confusionario ed oneroso spacchettamento dei Ministeri. Si deve, poi, prendere sul serio una delle considerazioni emerse dal recentissimo seminario internazionale organizzato dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace su cambiamento climatico e sviluppo , divulgate dall’Istituto Bruno Leoni (non certo una congrega di statalisti): il cambiamento del clima non crea problemi nuovi ma aggrava quelli esistenti. Dipende da noi migliorare le nostre capacità per fronteggiarlo e risolverlo.

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