giovedì 12 aprile 2007

IL GOVERNO PRODI DIMENTICA LE PICCOLE E MEDIE IMPRESE

Il primo (e, secondo i suoi colleghi universitari più cattivelli, l’unico) lavoro scientifico dell’attuale Presidente del Consiglio Romano Prodi riguarda le piccole e medie imprese (Pmi): un libro di circa 40 anni fa in cui elaborava il modello dinamico di crescita del distretto di Pmi a Sassuolo. Anche il Ministro dello Sviluppo Economico, il piacentino Pierluigi Bersani, viene da terra di Pmi. Quindi, è difficile comprendere come siano rimasti “insensibili al grido di dolore” che manifestato più volte negli ultimi mesi, è diventato molto forte al Convegno organizzato dalla Confindustria a Genova a fine marzo. Le Pmi – ricordiamolo – hanno mostrato una forte capacità innovativa in tre lustri in cui l’Italia ha avuto una crescita rasoterra; hanno tenuto (ed in certi casi) ampliato le posizioni del “made in Italy” sul mercato mondiale (specialmente nel comparto delle 4° - Abbigliamento, Arredo, Automazione, Alimentazione); hanno contribuito all’equilibrio della bilancia commerciale (al netto dell’eximport energetico); hanno manifestato voglia di crescere. Lamentano disattenzione e soprattutto asimmetria. Il Governo ha mostrato molto interesse per il futuro delle grandi imprese (ad esempio Telecom e Fiat); le liberalizzazioni (che avrebbero dovuto dire semplificazione , flessibilità e minori carichi per tutti) hanno favorito le Pmi a struttura cooperativa ed esposto a maggiori pressioni competitive le altre.
A chi fa presente il “grido di dolore”, i consiglieri di Palazzo Chigi replicano che non si intende tornare a politiche industriali di stampo dirigista. Evitare di cadere nei trabocchetti dirigisti non vuole dire, però, non fare politica industriale , ma elaborarne una che corregga quelle imperfezioni (prima tra tutte l’eccesso di adempimenti, di rigidità e di oneri) che penalizzazioni principalmente chi è più piccolo. In tal senso, la politica industriale viene riabilitata alla grande in una rassegna appena pubblicata dalla Banca mondiale nel World Bank Policy Research Working Paper No. 3839 , specialmente per le realtà nel cui tessuto manifatturiero dove predominano le Pmi.
A riguardo sono particolarmente interessanti due lavori relativi alle Pmi - prodotti il primo da un gruppo di studio della Bocconi ed il secondo da team di ricerca dell’Univesità di Roma La Sapienza. Ambedue hanno avuto poca attenzione nei Palazzi (forse perché pubblicati in inglese –il primo come CEPR Discussion Paper No. 5786 ed il secondo nel Journal of Applied Economics). Il primo misura i risultati delle aziende familiari quotate in Borsa nel 1998-2003 utilizzando sia dati contabili che dati di mercato; mentre sulla base dei dati contabili, le aziende familiari mostrano un andamento migliore alla media settoriale, ciò non viene confermato dai dati di mercato. Il secondo offre una spiegazione interessante sulla base di un campione di 1900 imprese nel periodo 1989-94 : i sussidi/incentivi pubblici avrebbero funzionato efficacemente nel ridurre il vincolo agli investimenti dal lato dell’accesso al credito. Ciò solleva interrogativi di politica industriale in materia degli effetti della revisione dei sussidi/incentivi (da contributi a fondo perduto a credito agevolato). L’Isae, ha appena pubblicato una prima valutazione quantitativa dell’impatto del fondo di garanzia per il credito agevolato alle Pmi (Isae working paper n. 75) Vengono condotti numerosi test econometrici per raffrontare i risultati aziendali delle imprese che hanno avuto accesso al fondo con le altre. La conclusione è che l’impatto è stato positivo, ma modesto a ragione della ristretta base in conto capitale del fondo e della eccessiva selettività. C’è, quindi, su un piatto d’argento l’occasione di fare politica industriale efficiente ed efficace per le Pmi coniugando liberalizzazioni non a senso unico con un graduale ampliamento del fondo di garanzia per il credito agevolato.

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