mercoledì 25 aprile 2007

IL GOVERNO EXTRAPARLAMENTARE

In un sistema bipolare, in cui si giustappongono due visioni dell’interesse del Paese, è normale che quando una maggioranza si avvicenda ad un'altra , i nuovi inquilini dei Palazzi del Governo dedichino tempo ed energia a disfare quanto fatto dai loro predecessori. E’ meno normale che ci si dedichi a quelle che Mario Monti, su “Il Corriere della Sera” del 22 aprile, ha chiamato le “controriforme di strutture” attuate ben sapendo che esse freneranno, con la crescita, l’aumento del benessere per tutta la collettività. E’ ancora meno normale, ove non contrario alla Costituzione, che per effettuare tali “controriforme di strutture” si ricorra a metodi e procedure extra-parlamentari, nel senso che si verificano al di fuori del Parlamento (tenendolo spesso all’oscuro). Non è affatto normale che l’opposizione – quali che siano i meriti dei singoli temi – non rivendichi che in una democrazia parlamentare lo scettro torni al Principe (il Parlamento). L’economista del Mit Avinash Dixit vede in questo controriforismo extra-parlamentare un degrado e della democrazia e del potenziale sviluppo economico, sociale e politico.
Tre casi possono essere citati. In primo luogo, quello, denunciato dal Senatore Michele Vietti su varie testate, secondo cui la riforma del diritto fallimentare – su cui ha sudato più di una legislatura – venga inopinatamente inserita nel cosiddetto decreto “mille proroghe” tra i provvedimenti da modificare con decreto legislativo (ossia ottenendo solamente un parere dalle Commissioni Parlamentari). Qualsiasi riforma può essere modificata ; anzi , deve esserlo se non più al passo con le esigenze. Tuttavia, pare difficile arguire che ciò avvenga soltanto dopo mesi dal varo di una legge (specialmente se ci sono stati anni di dibattiti per giungere al testo in vigore). Pare ancora più arduo – ove non contrario alla Costituzione – utilizzare uno strumento d’urgenza (tale da escludere il Parlamento da un esame approfondito) invece della via del disegno di legge.
In secondo luogo, la riforma della previdenza. E’ argomento difficilissimo anche in quanto, se si intende modificare la normativa del 2004 prima che entrino in vigore alcuni suoi aspetti (specialmente quelli dei requisiti per le pensioni di anzianità), il Governo avrebbe dovuto dare da tempo al Parlamento il proprio indirizzo tramite un pertinente disegno di legge. Invece, sembra essere tornati agli “accordi inter-confederali” della fine degli Anni 60, “accordi” che venivano presi al di fuori delle aule parlamentari e che Camera e Senato venivano chiamati a ratificare frettolosamente. Un economista non centro vicino al centro destra come Augusto Graziani ha individuato in tale prassi di 40 anni fa le radici dello sfascio della finanza pubblica e dell’Everest di debito pubblico che blocca lo sviluppo dell’Italia.
In terzo luogo, il riassetto della formazione per le pubbliche amministrazioni e statali e locali. Si possono avere i punti di vista più differenti sui meriti e sui demeriti del sistema attuale (su questi ed altri temi si è dibattuto a lungo dal 19 al 20 aprile al X congresso dell’Associazione italiana di valutazione, Aiv, svoltosi a Roma). Senza dubbio, però, in un Paese normale la riforma avrebbe richiesto un disegno di legge ed un forte coinvolgimento degli stakeholder (dirigenti e funzionari pubblici, innanzitutto) nella sua preparazione, nonché un approfondito esame da parte del Parlamento, mentre pare affidata ad un regolamento basato su alcuni commi introdotti, all’ultimo momento nella legge finanziaria, e nei cui confronti alcune Regioni hanno già fatto ricorso alla Corte Costituzionale.
Altri esempi potrebbero essere menzionati. Sono più eloquenti dei 13 voti di fiducia richiesti dall’Esecutivo in pochi mesi. Se tanto illustra il modo di pensare e di fare del Partito Democratico del futuro, il soggetto politico nascituro dovrebbe già pensare a cambiare nome.

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