venerdì 20 aprile 2007

BONINO ALLE PROVE DI DOHA

Emma Bonino è alla guida di un dicastero diventato eminentemente economico, ed in quanto tale concorrente (almeno sul piano delle idee) del conglomerato di cui è titolare TPS, ma in cui il posto del conducente è stato richiesto (ed ottenuto) da Vincenzo Visco. Non è una economista (peraltro non lo è neanche Visco) ma la ha introdotti alla “triste scienza” il suo fidatissimo Paolo Reboanti. Elemento chiave: la lettura del libro di Diane Coyle (con cui ha molti tratti in comune) “The soulful science: what economists really do e why it matters” (“La scienza dell’anima: cosa fanno gli economisti per davvero e perché il loro lavoro conta”) appena pubblicato dalla Princeton University Press. E’ un’utile, anzi utilissima, introduzione ad utilizzare con passione gli strumenti della disciplina.
Tra le tante tematiche economiche alla sua attenzione, quelle europee e quelle del commercio internazionale (e dell’internazionalizzazione del sistema Italia in senso lato) hanno la priorità. Quasi tutti i suoi colleghi si occupa d’Europa. Quindi, deve trovare un tratto distintivo. Anche se non ha ancora prodotto un Pico (Programma per l’innovazione, la competitività e l’occupazione) come hanno fatto Giorgio La Malfa e Paolo Savona (inquilini precedenti nelle stanze che adesso lei ha in comodato), l’”agenda di Lisbona” è il filo conduttore. A riguardo, Reboanti le ha indicato un saggio di Deborah Mabbett e Waltraud Shelkle (della sua Alma Mater londinese) su "Bringing Macroeconomics Back into the Political Economy of Reform: The Lisbon Agenda and the 'Fiscal Philosophy' of EMU" (“Portare la macroeconomia nell’agenda politica delle riforme : l’agenda di Lisbona e la filosofia fiscale dell’unione monetaria” pubblicato nel fascicolo di marzo del Journal of Common Market Studies. Al di là degli aspetti più squisitamente tecnici, il saggio mostra come puntando sull’Agenda di Lisbona ci si incunea nelle materie in cui molto sui colleghi di Governo (quelli della sinistra radical-conservatrice) non vorrebbero fare passi in avanti ma anzi tornare indietro: il percorso riformatore in materia di mercato del lavoro, della previdenza, delle tasse e delle imposte, delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni. Micheal S. Knoll nella University of Pennsylvania fa un ragionamento analogo nel lavoro “Taxes and Competitiveness" (“Tasse e competitività”) – in sintesi Visco fa male alla competitività (quindi sarebbe bene che TPS, tra un viaggio a Parigi e l’altro, si riappropri dello scettro portatogli via). Reboani non le mostra , però, - il pretesto è che c’è troppa alta matematica- il lavoro di Susan Basu, John Ferland e Miles Kimball (nell’ultimo numero dell’ American Economic Review) in cui mettono in questione strategie come quelle di Lisbona sostenendo (con un’analisi econometrica articolata su 60 anni) che le politiche per il progresso tecnologico possono frenare la crescita.
L’attenzione sull’Europa non riduce quella sui più vasti aspetti dell’internazionalizzazione , soprattutto sul negoziato multilaterale sugli scambi (Doha development agenda, Dda) da mesi in fase di stallo. Un saggio di Sam Laird
"Economic Implications of WTO Negotiations on Non-Agricultural Market Access" (“Implicazioni economiche del negoziato in termini di accesso al mercato per i prodotti non agricoli “) apparso su “The Wold Economy”) la ha davvero interessata: quantizza in 70-150 miliardi di dollari i benefici di un esito positivo della trattativa. Queste stime includono unicamente la liberalizzazione del commercio di merci . Non i guadagni (per tutti) della liberalizzazione nel campo dei servizi. Sarebbero ancora più consistenti.



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